America
Terrà il “muro blu”? Un viaggio tra Michigan Wisconsin e Pennsylvania
Sen. Tammy Baldwin si avvia a conquistare per la terza volta il seggio senatoriale del Wisconsin.
Eletta per la prima volta al Senato nel 2012 (dopo aver rappresentato il Wisconsin alla Camera dal 1998 al 2012) è sicuramente un’esponente DEM tra i più esperti e radicati nel suo territorio.
Lesbica dichiarata, è una delle DEM più liberal e progressista dell’intero Congresso, in prima fila in tutte le battaglie in materia di diritti (nel 2020 è stata dichiarata dalla comunità LGBT come una delle 50 personalità “che guidano la nazione verso l’uguaglianza, l’accettazione e la dignità per tutte le persone”), ma è soprattutto un politico molto presente su tutte le tematiche locali e molto ben radicata nella comunità (non a caso la sua campagna aveva raccolto già a fine giugno oltre 36 milioni di dollari contro i 17 del suo sfidante).
Più che i suoi voti progressisti al Senato, gli elettori del suo Stato premiano i risultati che ha saputo ottenere nei suoi oltre 25 anni a Capitol Hill e soprattutto nei 12 al Senato.
Lei sa bene che per gli elettori del Wisconsin inflazione e economia sono le questioni centrali e ha fatto campagna soprattutto su questo: riduzione dei prezzi, lotta al caro-farmaci, lavoro. La difesa della manifattura del Wisconsin è la sua priorità assoluta: ad esempio, il suo fermo sostegno all’industria lattiero-casearia l’ha portata a diventare la prima DEM in 20 anni a ottenere il sostegno dell’associazione dei produttori di latte dello stato.
I sondaggi la danno avanti di almeno il 3% (con punte del 5%) nella sfida contro l’imprenditore e manager bancario GOP Eric Hovde.
Nessun sondaggio ha sinora ipotizzato una sua sconfitta.
I sondaggi per le elezioni presidenziali in Wisconsin, invece, danno la sfida tra Kamala Harris e il 45mo Presidente Donald Trump in parità.
Con una tendenza nelle ultime settimane sempre più nella direzione di quest’ultimo.
Mi sono soffermato su Sen. Tammy Baldwin, per la rilevanza politica del personaggio, ma avrei potuto iniziare il pezzo parlando di Sen. Bob Casey Jr in Pennsylvania o di Rep. Elissa Stolkin candidata DEM per il seggio senatoriale del Michigan.
Michigan, Wisconsin e Pennsylvania saranno tre degli Stati decisivi per l’esito delle elezioni del 5 novembre. Confermare i tre seggi senatoriali significherebbe per i DEM limitare i danni al Senato (finendo 49-51), ma, soprattutto in quei tre Stati ci sono in gioco 44 Grandi Elettori determinanti per l’esito finale del Collegio Elettorale.
In tutti e tre gli Stati i candidati DEM al Senato hanno sondaggi decisamente migliori rispetto a quelli di Kamala Harris nella sfida presidenziale.
I candidati DEM stanno, infatti, facendo valere il loro radicamento territoriale e la lunga esperienza a Washington (soprattutto Sen. Tammy Baldwin, al Senato dal 2012 e Sen Bob Casey Jr, che ricopre il seggio addirittura dal 2006) differenziandosi piuttosto chiaramente dal marchio politico nazionale.
Non solo nel Wisconsin, Sen Tammy Baldwin è accreditata nei sondaggi di almeno un 3% in più rispetto a Kamala Harris.
In Michigan Rep. Elissa Stolkin è data in vantaggio nella corsa senatoriale di almeno il 2% mentre i sondaggi presidenziali attribuiscono un vantaggio sia pure solo dell’1% a Donald Trump.
Il vantaggio di Sen Bob Casey Jr. per il seggio senatoriale della Pennsylvania è ancora più netto (attorno al 4%) mentre i sondaggi presidenziali convergono sempre di più nel prevedere una vittoria di Donald Trump.
Senza allontanarci dagli Stati decisivi del Nord (anche in Nevada e soprattutto in Arizona si registrano tendenze simili) la stessa cosa accade in Ohio: i 17 Grandi Elettori dello Stato sono saldamente attribuiti a Donald Trump (con un vantaggio stimato in almeno l’8%) mentre il candidato DEM al Senato, Sen. Sherrod Brown (anche lui in carica dal 2006) è dato in vantaggio di almeno il 3%.
Questo è il dilemma degli ultimi 20 giorni di campagna DEM negli Stati chiave.
Conquistare i seggi senatoriali ancora incerti rappresenterebbe sicuramente un baluardo importante contro una maggioranza GOP al Senato troppo solida, ma nello stesso tempo enfatizzare la distanza dalla campagna presidenziale (come tutti e quattro i candidati indicati stanno chiaramente facendo) aumenterebbe di sicuro le possibilità di sconfitta di Kamala Harris.
Quello che è importante osservare è che il (probabile) successo dei quattro candidati DEM si fonda su strategie specifiche difficilmente percorribili con credibilità da Kamala Harris.
Sen. Sherrod Brown si affida ai suoi forti e storici legami con il movimento sindacale dello stato: la classe operaia nell’Ohio continuerà a sostenerlo, ma percepisce la storia politica e il “posizionamento” ideologico di Kamala Harris come molto distanti e, indubbiamente, le preferiranno il 45mo Presidente Donald Trump.
Sen. Bob Casey Jr in Pennsylvania conta sulla grande familiarità degli elettori dello Stato con lui e, prima di lui, con la sua famiglia (suo padre è stato Governatore della Penssylvania dal 1987 al 1995), ma il voto presidenziale in quello stato si gioca soprattutto sui temi dell’economia e Kamala Harris fa molta fatica a distaccarsi dalle politiche dell’Amministrazione Biden che, a torto o a ragione, sono percepite come la causa dei problemi che soprattutto i ceti più deboli vivono.
Sen. Tammy Baldwin fa meglio nei sondaggi rispetto a Kamala Harris soprattutto nelle zone rurali dello Stato. È una progressista riconosciuta ma vanta una forte credibilità. Kamala Harris non sembra avere argomenti forti per conquistare questo tipo di elettori.
Rep. Elissa Slotkin, alla sua prima candidatura al Senato (ma con tre elezioni alla Camera vinte alle spalle) si presenta con un profilo e una storia politica all’insegna del moderatismo che sembra funzionare bene per gli elettori del Michigan. Elettori che, invece, vedono Kamala Harris come la classica esponente della “sinistra californiana” culturalmente prima ancora che politicamente distante dai problemi dello Stato.
Una situazione piuttosto complessa per i DEM e per Kamala Harris.
Perchè Michigan Pennsylvania e Wisconsin (e Ohio) non solo sono decisivi per contenere la maggioranza GOP al Senato ad un “accettabile” 49-51, sono indispensabili per arrivare alla Casa Bianca.
Ricordo che la situazione del Collegio Elettorale è la seguente: Harris 226 – Trump 219 con
93 Grandi Elettori da assegnare tra Arizona (11), Georgia (16), Michigan (15), Nevada (6), North Carolina (16), Pennsylvania (19) e Wisconsin (10).
Concentriamo l’attenzione sui tre Stati del Nord: Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, lo storico “blue wall” DEM
Pennsylvania (19)
Tra i 7 Stati “battleground” è quello che assicura il maggior numero di Grandi Elettori.
Dal 1948, nessun candidato presidenziale DEM si è assicurato la Casa Bianca senza vincere in Pennsylvania.
Nelle quattro elezioni presidenziali dal 2000 al 2012, i DEM in Pennsylvania hanno superato il loro margine di voto nazionale di una media di due punti. Nelle elezioni del 2016 (vinte da Donald Trump) e del 2020 (vinte da Joe Biden), al contrario, hanno sottoperformato il loro margine di voto nazionale di una media di tre punti.
Nel 2020, Joe Biden ha vinto il voto popolare nazionale di 4,4 punti, ma il suo margine in Pennsylvania è stato di soli 1,2 punti.
Secondo un recente sondaggio della CBS News, l’82% degli elettori registrati in Pennsylvania ha indicato l’economia come il fattore decisivo per il loro voto presidenziale. Nel frattempo, solo il 7% degli elettori statali ha valutato le condizioni dell’economia nazionale come “molto buone”.
Lo Stato ha un elettorato con una grossa componente di ceti popolari e operai e privi di un’istruzione superiore.È questo blocco, molto eterogeneo dal punto di vista razziale e culturale (neri, latinoamericani, arabi, ma anche bianchi e cattolici), che sembra allontanarsi dai DEM.
Cosa ha loro da offrire Kamala Harris?
Non dimentichiamoci che il 45mo Presidente Joe Biden è nato a Scranton (Pennsylvania), è bianco, cattolico, con una lunga storia (e credibilità) alle spalle.
La gara è serrata, come, in ogni stato indeciso, ma – se si guarda ai sondaggi realizzati nel periodo 20/9-10/10 – Donald Trump è dato in testa in 6 sondaggi su 11, con 2 sondaggi in parità e solo 3 a favore di Kamala Harris.
Certo la campagna di Kamala Harris può proporsi di conquistare il voto femminile a partire dal tema del diritto all’aborto, ma potrà bastare?
Michigan (15)
Un altro pezzo del “blue wall” che rischia di cadere.
I sondaggi continuano a indicare una gara dall’esito ancora incerto, ma anche qui, dopo l’euforia iniziale per la candidatura di Kamala Harris, le possibilità di vittoria del 45mo Presidente Donald Trump aumentano.
Utilizzando il medesimo metodo di guardare ai sondaggi realizzati nel periodo 20/9-10/10, Donald Trump è dato in testa in 6 sondaggi su 10 (tra cui 3 dei quattro realizzati in ottobre), con 1 sondaggi0 in parità e solo 3 a favore di Kamala Harris (il più recente a fine settembre).
La campagna di Trump fa soprattutto appello a una fascia di elettori prevalentemente maschile (sia bianchi che neri) e appartenenti alla classe lavoratrice.
E’ emblematica la decisione dei sindacati dei camionisti e dei vigili del fuoco dello Stato di non sostenere (per la prima volta) nessuno dei due candidati che sicuramente rivela una crescita dei sostegni al candidato del GOP tra i membri del sindacato, in particolare gli uomini
I DEM hanno conquistato il Michigan nel 2022, concentrandosi sul tema del diritto all’aborto, ottenendo il controllo di tutti i rami del governo statale e il tema continua ad essere il centro della campagna di Kamala Harris.
Non va, inoltre, dimenticato che lo Stato ospita una importante comunità arabo-americana e musulmana che sta sempre più incrementando la pressione su Kamala Harris affinché abbandoni il sostegno a Israele.
E poi c’è il grande tema dell’industria dell’auto e dei suoi lavoratori. Kamala Harris ha da sempre sostenuto la svolta verso le auto elettriche e, più in generale, la necessità di abbandonare le energie fossili (compreso il divieto al fracking). Non a caso la narrazione della campagna di Donald Trump punta molto sul fatto che la candidata DEM vuole “mettere fine a tutte le auto a benzina”, mentre il suo obiettivo è far tornare il Michigan ad essere “di nuovo la capitale mondiale dell’auto”. Non importa quanta verità ci sia in queste affermazioni: il tema vero, da cui dipenderà l’esito della campagna presidenziale nello stato è quanta credibilità abbia Kamala Harris agli occhi dei lavoratori del mondo dell’auto e quanto invece risulti essere “prigioniera” di un pensiero (quello “ecologista” per semplificare) che è percepito come distante e “ostile”.
Wisconsin (10)
Donald Trump ha vinto il Wisconsin nel 2016 con 22mila voti di margine, diventando il primo candidato GOP (dopo la vittoria schiacciante del 40mo Presidente Ronald Reagan del 1984) a conquistare i 10 Grandi Elettori dello Stato. Tuttavia, ha perso nel 2020 con meno di 21mila voti di scarto.
I 9 sondaggi realizzati nel periodo 20/9-10/10 fotografano un incertezza assoluta: 3 sono a favore di Donald Trump, 3 di Kamala Harris e 3 in parità.
Si chiudono in parità, in particolare, tutti e 3 gli ultimi sondaggi realizzati nella prima decade di ottobre.
Il punto fondamentale e la difficoltà principale per Kamala Harris è mettere una distanza tra la sua campagna e le sue proposte per il futuro e le politiche dell’Amministrazione Biden (e quindi percepite come anche sue) in particolare su economia e immigrazione, le due questioni principali per le elezioni del 2024 secondo gli elettori dello stato.
Quasi due terzi (60%) degli elettori del Wisconsin affermano che la loro situazione economica è peggiore rispetto a quattro anni fa: il dato è ancora, ovviamente, più altro tra gli elettori GOP e gli indipendenti.
Le politiche di Biden (e della Harris) sono viste come le principali cause di questo disagio. Alta inflazione e alto deficit federale allontanano gli elettori delle classi lavoratrici da Kamala Harris e i suoi annunci di politiche di controllo dei prezzi non l’hanno certo aiutata a recuperare consensi.
Benché il confine con il Messico sia lontano, quasi due terzi (63%) degli elettori del Wisconsin chiede politiche migratorie fortemente restrittive (a cominciare dalla costruzione del muro) e ritiene fallimentari le “deboli” (o ritenute tali) politiche migratorie di Biden-Harris.
Nel 2020 alla vigilia delle elezioni Joe Biden era dato in vantaggio di oltre il 6% e, invece, vinse i grandi elettori dello stato con meno dell’1%: se si applicasse la medesima logica bisognerebbe dire che le probabilità di vittoria di Donald Trump il prossimo 5 novembre sono piuttosto alte.
Il vantaggio di Trump su questioni economiche, immigrazione e sicurezza nazionale, cresce per l’estrema difficoltà di una campagna che si propone nello stesso tempo “in continuità” e “di cambiamento” e che rischia di apparire poco credibile, perchè incapace di trasmettere un messaggio chiaro e facilmente percepibile dagli elettori proprio su economia e migrazioni.
Una conclusione
La “luna di miele” che ha fatto seguito all’annuncio della candidatura di Kamala Harris è finita.
Ora bisogna convincere gli elettori e soprattutto gli indecisi.
Due sono gli elementi di maggiore difficoltà per Kamala Harris.
Il primo è emerso con chiarezza in una sua recente apparizione televisiva alla ABC.
Alla domanda di indicare anche una sola cosa che avrebbe fatto diversamente da Joe Biden, la candidata DEM non ha saputo (o voluto) dare alcuna risposta. Donald Trump sta sfruttando questa incapacità/impossibilità di rompere con le politiche degli ultimi quattro anni.
E sulle questioni decisive come economia e migrazioni (e sulla politica estera) questo sembra fargli conquistare consensi che potrebbero essere decisivi.
Non si deve, infatti, dimenticare che sull’Amministrazione Biden e le sue politiche i sondaggi sono assolutamente convergenti nel registrare un giudizio negativo per almeno i 2/3 degli americani. E’ davvero difficile essere credibile e convinte per il vicepresidente di un Presidente così (a mio parere ingiustamente) impopolare.
Il secondo punto critico di Kamala Harris è Kamala Harris, la sua storia personale e politica.
Kamala Harris, prima come funzionario dello stato della California, poi come senatore e, infine, come vicepresidente, ha sostenuto con forza e convinzione molte battaglie ritenute “di sinistra”: “Medicare” per tutti, abolizione dei piani sanitari privati, divieto di fracking, passaggio alle auto elettriche, diritto all’aborto senza restrizioni, aumento delle imposte, tagli alla difesa e alla polizia, frontiere aperte e opposizione al muro di confine…. Si potrebbe continuare….
Per provare a vincere negli stati del “blue wall” non può far altro che riposizionarsi in modo molto marcato su tutti questi temi (ad eccezione del diritto all’aborto, che comunque motiva il voto soprattutto femminile).
Non basta dire che in casa hai una pistola (soprattutto se poi non ti ricordi il modello) o che hai lavorato al McDonald (ma non sai dire dove). Il punto è che indicare proposte credibili agli elettori implica ridefinire in profondità e in rottura con il proprio passato il proprio posizionamento politico e culturale. E che ci sono solo 20 giorni per farlo.
Avere milioni di dollari da investire in campagne pubblicitarie non sembra, al momento, bastare.
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