America
Sociologi c’è da ricominciare daccapo!
Nel 1973 Pierre Bourdieu scrisse un articolo, dettagliatamente critico, dal titolo “L’opinione pubblica non esiste” – apparso in Italia solo nel 1976 in Problemi dell’informazione – nel quale chiariva una posizione ante litteram, allora snobbata dall’enfasi del potere predettivo attribuito ai sondaggi, oggi più che mai “vera”.
Bourdieu sostiene che l’opinione pubblica descritta dai sondaggi semplicemente non esiste. Egli partendo dalla inevitabile deformazione della formulazione stessa delle domande, giunge a ragionare sulla capacità di prefigurare risposte e quindi di prefigurare l’opinione pubblica. Centrale nel ragionamento è la verifica del relativismo delle interrogazioni sondaggistiche. Al vaglio epistemologico a cui Bourdieu lo sottopone, il sondaggio crolla. E crolla non per via del campionamento o della tecnica utilizzata, quanto per l’adesione sottesa dei quesiti ad una logica di riconferma dei rapporti sociali esistenti.
Oggi più che mai le élite culturali che tentano di leggere la società, gli andamenti di opinione e di comportamento sulla base di analisi statistiche, cadano nell’errore descritto da Bourdieu: trasferiscono nella lettura uno schema narrativo da loro preferito quando non auspicato, trascurando i dettagli che si nascondono nelle pieghe di una società in cui è saltata ogni forma di intermediazione e quindi di funzione di “guida” e di “indirizzamento” delle opinioni e dei comportamenti.
Non esiste una forma immanente di ragionevolezza collettiva che percorre il corpo sociale e emerge nei momenti storici più appropriati. Esistono individui alla costante ricerca di stabilità e sicurezza, e più è forte e imminente il bisogno, tanto più si personalizza il potere di soddisfarlo.
Lo Stato con le sue istituzioni, le sue procedure di salvaguardia e di garanzia funziona in tempi di pace e prosperità. In tempi di incertezze e pericolo percepito come incombente, lo Stato mostra tutte le sue debolezze e le persone individualmente e poi collettivamente preferiscono la chiarezza e l’immediatezza che solo un “uomo forte” può far credere di garantire. Lo insegna la storia, lo si può chiaramente comprendere leggendo scritti come quelli di Max Weber, che descrivendo il “potere legale” ne disegna però anche le debolezze procedurali e di auto-complessificazione costante e progressiva che lo conduce all’immobilità burocratica e decisionale.
Il potere carismatico di weberiana memoria è al contrario un potere che rapisce e rassicura, deresponsabilizzando i singoli e affermando la semplice efficenza di un solo uomo che decide e agisce sotto la spinta del modello di legittimazione del potere più antica: quello che viene dal cuore e dalla pancia, e non dalla mente e dal raziocinio.
Discutere se alcuni inaspettati leader possiedono qualità carismatiche o meno, risulta un tanto inutile quanto velleitario tentativo di delegittimare dall’alto qualcosa che è voluto e sostenuto dal basso. Questo è accaduto, in tempi recenti, in Italia con Silvio Berlusconi, e accade oggi con Donald Trump. Ma in generale accade ogni qual volta il “popolo” sceglie e sostiene un personaggio politico che intellettuali e analisti semplicemente reputano illogico e irrazionale quindi inaccettabile.
La sociologia e gli analisti politici, ma anche i politici e le organizzazioni che vogliono essere intermediarie, devono uscire dagli studi televisivi e nelle aule dell’accademia e sottoporsi ad una salutare e realistica immersione nelle realtà della provincia, nelle narrazioni quotidiane e concrete dei singoli e delle piccole comunità. Lì si possono trovare opinioni e tendenze, bisogni e aspettative. Lì, forse, può tornare possibile capire e descrivere.
I sondaggi, le letture dall’alto, le macro-analisi standardizzate sono destinate a sbagliare non solo nelle previsioni, ma ancor più nel proporre strategie di governo dei fenomeni sociali e politici, e nel progettare e costruire il futuro.
Devi fare login per commentare
Accedi