America
Sarah Palin: il ritorno
La storica paladina del Tea Party, Sarah Palin, è tornata ieri vigorosamente sulla scena politica, per esprimere il proprio sostegno alla candidatura di Donald Trump, durante un comizio tenuto in Iowa. La Palin ha sottolineato come il fulvo magnate risulterebbe il candidato adatto per “dare un calcio nel sedere all’ISIS” e finalmente far tornare i soldati americani a fare il loro mestiere. Il miliardario ha ovviamente apprezzato e proprio oggi nel corso di una intervista telefonica ha affermato che vi sarebbe indubbiamente posto per lei all’interno di un’eventuale amministrazione Trump.
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E per quanto non abbia voluto sbilanciarsi sulla possibilità di sceglierla come propria candidata alla vicepresidenza, non è assolutamente escluso sia questa la strategia. Una sorta di risposta alla governatrice del South Carolina, Nikki Haley: repubblicana moderata, data da molti come papabile vicepresidente, che ha mosso dure critiche la settimana scorsa all’estremismo del miliardario. In tal senso, Sarah Palin potrebbe dimostrarsi una sorta di anti-Haley, nell’ottica di un’astuta mossa che permetta a Trump di accattivarsi le simpatie dell’elettorato femminile: una quota che non sembrerebbe amarlo molto, viste le sparate non proprio eleganti da lui costantemente riservate al pubblico muliebre.
Governatrice dell’Alaska e leader indiscussa del Tea Party, fu scelta da John McCain come candidata alla vicepresidenza in occasione delle primarie del 2008: una scelta dettata dal tentativo di compattare quella destra radicale che vedeva nel vecchio senatore dell’Arizona nient’altro che un maverick liberale, troppo spostato a sinistra. E la Palin ce la mise tutta, con la sua retorica infervorata e i suoi istinti libertarian anti-Obama: si faceva allegramente fotografare col fucile in braccio e mandava in onda pittoreschi spot televisivi in cui si sentiva paragonare a Mamma Orsa che – da sola – sfamava i suoi cuccioli contro l’invadenza dello strapotere federale. Fu un fiasco. I repubblicani persero, anche in ragione del fatto che il fronte conservatore si astenne dal voto. Terminato l’incarico di governatrice nel 2009, rimase ancora un po’ di tempo nell’agone politico, per trasformarsi poi in opinionista televisiva. Fino a ieri, con il suo ritorno in “grande stile”.
Dopo l’endorsment della figlia di John Wayne, Aissa, Trump incassa adesso quello di un’altra rappresentante dell’America profonda: una figura ruspante, battagliera, folkloristica. Che indubbiamente mostra consonanze con alcune proposte del magnate (dalle tasse alle armi). Ma che esprime tuttavia qualche paradosso. E neanche di poco conto.
Innanzitutto, come detto, sette anni fa fu vice di John McCain: quello stesso McCain che Trump ha duramente criticato quest’estate, negandogli addirittura lo status di eroe di guerra (quello stesso McCain che – per inciso – il magnate nel 2008 aveva pubblicamente supportato). Ma al di là di questa incongruenza, la contraddizione maggiore sembra di natura programmatica. Soprattutto alla sua origine, in materia di politica estera il Tea Party si divideva in due correnti principali: gli isolazionisti e gli interventisti selettivi (cioè coloro che ritenevano opportuni interventi militari americani solo in caso di pericolo per gli Stati Uniti). Se la prima corrente risultava abbastanza vicina al libertarianism di Ron Paul, la seconda gravitava invece attorno alla figura della stessa Palin. E d’altronde le suddette dichiarazioni dell’ex governatrice sul “prendere a calci nel sedere l’ISIS” vanno proprio in quella direzione.
Sennonché, a ben vedere, questa non sembrerebbe essere esattamente la posizione di Trump. Nonostante i suoi proclami sul rafforzamento dell’esercito, il miliardario ha sempre mostrato posizioni profondamente isolazioniste, a partire proprio dalla questione mediorientale, in riferimento a cui ha costantemente sostenuto che l’America dovrebbe rimanere a guardare alla finestra, lasciando ad altri il lavoro sporco (leggasi Putin). Una posizione non poi troppo distante dal sostanziale disimpegno attuato da Obama in questi anni nella regione. E che mal si concilia con le bellicose asserzioni della battagliera Sarah. Ancora una volta assistiamo a una certa confusione programmatica nel populismo destrorso in seno al Partito Repubblicano. Ma che importa? Tanto Trump ha sostenuto a più riprese che non occorra chissà quale competenza di esteri per fare il presidente degli Stati Uniti (e difatti lui ignora allegramente la differenza tra Hezbollah e Hamas).
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Come che sia, il magnate prosegue la sua battaglia, mentre in Iowa sembra stia riuscendo ad arginare efficacemente la concorrenza di Ted Cruz. E proprio per questo torna all’attacco: sicuro, feroce, spavaldo. Perché stavolta sa di avere al suo fianco niente meno che Mamma Orsa.
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