America
Robert Durst: quando è la tv a fare giustizia, con inquietante tempismo
Ricordate di quel latitante siciliano arrestato mentre guardava l’ultima puntata de “Il capo dei capi” in televisione? Si chiamava Michele Catalano, ed era il 2007. Un caso, una coincidenza, un episodio insolito in cui il confine tra realtà e finzione viene superato dalla contingenza della vita reale. Una tale precisione nella sequenza degli eventi che veniva quasi da domandarsi se ci fosse una regia superiore a orchestrare l’arresto, a organizzare il ‘set’, a mettere ogni tassello nell’ordine giusto per creare la scena perfetta.
Negli Stati Uniti, come spesso accade, sono riusciti a fare di più.
L’arrestato in questo caso si chiama Robert Durst, settantunenne imprenditore americano, figlio del magnate immobiliare Seymour B. Durst, fermato a New Orleans dall’FBI sabato 14 marzo, con un mandato di cattura per l’omicidio di Susan Bernam, avvenuto la vigilia di Natale del 2000. Un arresto che ha il sapore invitante di un climax narrativo, o forse più di uno spoiler rovina finale, considerato che il giorno dopo sarebbe andata in onda l’ultima puntata di “The Jinx: The Life and Deaths of Robert Durst”, documentario in sei puntate firmato HBO scritto da Andrew Jarecki.
Si sarà capito ormai che Robert Durst non è un personaggio qualunque, non un qualsiasi milionario americano finito nei guai, un po’ eccentrico e dalla pistola facile. Figlio maggiore di Seymour; Robert, all’età di sette anni, vede la madre volare giù dal tetto di casa; un episodio che lo segnerà per tutta la vita, determinando in maniera considerevole la sua personalità. Questa è tuttavia sola la prima delle diverse morti in cui Durst è coinvolto, come dice bene il titolo del documentario a lui dedicato. Sono infatti tre gli eventi drammatici che determineranno la sua vita: la scomparsa della moglie Kathie nel 1982, la morte dell’amica Susan Berman nel 2000 e l’omicidio del vicino di casa Morris Black, il cui corpo fatto a pezzi fu ritrovato nella baia di Galveston, in Texas. Una serie di morti per cui Durst è stato imputato ma mai condannato, persino per il caso Black, per il quale ammise di aver fatto a pezzi il corpo, ma riuscì incredibilmente ad essere assolto dall’accusa di omicidio.
Una vita costellata di morti ammazzati ed episodi bizzarri, come quella volta in cui fu arrestato in Pennsylvania per aver rubato da un negozio un panino imbottito, un cerotto e un quotidiano, pur avendo in tasca 500 dollari.
Una vita che ha sempre affascinato Andrew Jarecki, fin tanto da realizzarne un film, All Good Things, con Ryan Gosling e Kirsten Dunst. Ed è proprio grazie al film che lo stesso Durst entra in contatto con Jarecki, proponendogli una serie di interviste per poter raccontare la sua versione dei fatti. Peccato che Jarecki e i suoi collaboratori si siano giocati una carta che Durst non si aspettava; una lettera firmata di suo pugno in cui la grafia e un errore di spelling (Beverley Hills invece di Beverly Hills) corrispondevano esattamente con la grafia e l’errore di spelling di un’altra lettera, quella inviata alla polizia dall’assassino di Susan Berman nel 2000, conosciuta dagli inquirenti come la “cadaver letter”.
Un lavoro magistrale dunque quello di Jarecki, che non si è però fermato qua. L’ultima puntata del documentario, andata in onda domenica 15 marzo, si è infatti conclusa con un colpo di scena surreale quanto inaspettato. Al termine dell’ultima intervista, in cui Durst viene messo con le spalle al muro dalla corrispondenza esatta delle due lettere; quando tutto sembra finito, con la crew che spegna le luci e risistema le attrezzature, si sente una voce fuori campo, la voce di Durst che, ignaro di avere ancora addosso il microfono dice a se stesso, probabilmente guardandosi allo specchio in bagno, come solo nel film americani può accadere:
“There it is. You’re caught (…) I’m having difficulty with the question. What the hell did I do? Killed them all, of course”
“Ecco, ti hanno preso (…) Sto faticando con questa domanda. Che cosa ho fatto? Li ho uccisi tutti, ovviamente”
https://youtu.be/t4KDLe_760c
Una confessione incontrovertibile o, come l’ha definita il New York Times “the nationally broadcast murder confession”. Ovviamente non sono mancati i dubbi e i sospetti sulle tempistiche dell’arresto e della messa in onda. Ci si è domandato da quanto tempo Jarecki e la sua squadra sapevano di questa confessione e perché si è aspettato tanto per agire e soprattutto come fosse possibile che gli inquirenti non fossero mai entrati in possesso della lettera che ha incastrato Durst.
Durante un’intervista su CBS This Morning, realizzata il giorno dopo la messa in onda del documentario, Jarecki ha dichiarato: “Le autorità avevano l’audio da molti mesi, mi stupisce che non abbiano agito molto prima, noi speravamo che Durst venisse arrestato”.
https://youtu.be/mD8lQJpH0CI?t=3m56s
Fatto sta che Jarecki e Smerling (co-autore del documentario) hanno cancellato tutte le interviste che avevano in programma, per la possibilità di essere chiamati a testimoniare nel processo Durst.
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