America

Può quest’uomo salvare il GOP?

3 Marzo 2016

Tra poche ore Mitt Romney terrà un discorso all’Università dello Utah sullo stato dell’attuale corsa elettorale repubblicana. Si attendono parole di fuoco, soprattutto dopo l’inopinata ascesa del miliardario Donald Trump, che – con i trionfi ottenuti nel corso del Super Martedì – si presenta oggi come front runner incontrastato (con 316 delegati in tasca). Secondo Politico, Romney dovrebbe attaccare direttamente il fulvo magnate. E qualche stralcio del discorso è già stato diffuso. “La sua politica interna ci condurrebbe alla recessione. La sua politica estera renderebbe l’America e il mondo meno sicuri”. Già negli ultimi giorni d’altronde l’ex governatore del Massachusetts aveva rivolto dure critiche a Trump: dapprima aveva messo in discussione la sua trasparenza sul fronte fiscale. Poi lo aveva pesantemente redarguito per la sua reticenza nel condannare fermamente il Ku Klux Klan, definendo il suo comportamento “squalificante e disgustoso”.

Secondo alcuni, il discorso che terrà oggi nello Utah dovrebbe preludere a una sua discesa in campo. Secondo altri, sarebbe difficile una simile eventualità. Ma tutti concordano nel fatto che questo ritorno alla ribalta coincida con la sua volontà di contribuire alla riscossa del fronte repubblicano moderato: un fronte letteralmente travolto dall’avanzata di Trump. Un fronte spaccato, che non è riuscito a trovare nel senatore della Florida, Marco Rubio, il suo adeguato rappresentante. Al netto della retorica con cui difatti pretenderebbe di essere l’unico vero cardine del partito, Rubio al momento è riuscito a conquistare a malapena uno Stato (il Minnesota), vedendosi superare anche dal senatore texano, Ted Cruz.

Che si candidi o meno, il ritorno di Romney andrebbe proprio in questa direzione: ricostruire un partito sfasciato, nel nome della più autentica tradizione repubblicana, nel nome di un pantheon che ne raccolga i miti più gloriosi: da Lincoln a Reagan. Un obiettivo arduo ed estremamente delicato, visto che l’ascesa di Trump ha seminato malumori cocenti nel GOP: l’ala neoconservatrice è in fibrillazione, qualcuno è già passato con i democratici (leggasi Robert Kagan) e il New York Times riporta che alcuni parlamentari dell’elefantino starebbero seriamente ipotizzando di costruire una terza forza politica. Senza infine contare come alcuni pezzi dell’establishment stiano più o meno apertamente passando dalla parte del creso newyorchese.

La situazione è disperata. E adesso tutti guardano a Romney. Ma la domanda è d’obbligo: può veramente quest’uomo salvare il GOP? Un politico, per carità, serio e competente: ma che ha conosciuto la sconfitta elettorale per ben due volte (nel 2008 in sede di primarie e nel 2012 alla general election). Un’ex governatore capace ma che non è mai riuscito a compattare dietro di sè l’intero partito, a causa del suo moderatismo e della sua fede religiosa (è mormone e per questo inviso a gran parte dell’universo evangelico). Il portabandiera di una politica economica profondamente liberista, cui da tempo l’elettorato americano sembra aver voltato inesorabilmente le spalle. E il dubbio resta. Il ritorno di Romney potrebbe segnare la rinascita del GOP, è vero. Ma anche il suo canto del cigno.

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