America

Primarie democratiche: quanto contano le ideologie nel voto degli americani?

27 Febbraio 2020

Quando parliamo delle primarie democratiche americane, pensiamo ai candidati, leggiamo i loro programmi. Proviamo a capire chi ha più o meno possibilità di guadagnare la maggior parte dei delegati. C’è però un altro aspetto da non sottovalutare, ovvero il profilo degli elettori. Spesso, per descriverli, usiamo una classificazione: moderati e progressisti, ovvero persone che votano o voterebbero per un candidato più moderato o per un altro con idee più liberali. Sarebbe interessante capire esattamente cosa vuol dire essere un elettore progressista o moderato. Con una certa approssimazione, possiamo dire che nel primo caso, facciamo riferimento a chi opterebbe per Bernie Sanders o Elizabeth Warren, nel secondo caso a chi voterebbe praticamente uno tra gli altri. Possiamo quindi usare la cosiddetta ideologia per prevedere le scelte elettorali degli americani?

Su FiveThirtyEight si evidenzia che fino a qualche tempo fa in Usa la percentuale di persone che vedeva rilevanti differenze tra i partiti non era molto alta, poi nel 1952 è arrivata al 50%, nel 2012 al 77% e quattro anni fa è arrivata addirittura all’83%. Ciò equivale a dire che gli americani sanno dire con maggiore decisione rispetto al passato se sono elettori di destra o di sinistra. Alcuni ricercatori ritengono quindi che ci sia una maggiore consapevolezza delle proprie posizioni ideologiche, allo stesso tempo altri però sostengono che sia ancora rilevante il parere che ciascuno ha delle singole proposte politiche, a prescindere dal fatto che si tratti di posizioni conservatrici o liberali. Non possiamo dunque dire con certezza se sarà l’ideologia o l’opinione a guidare il voto alle presidenziali, o alle primarie all’interno dello stesso partito.

Se non possiamo classificare gli elettori, possiamo almeno provare a descrivere gli elettori dei singoli candidati alle primarie democratiche. È quanto ha fatto il Pew Research Center. Scopriamo quindi, ad esempio, che quasi tre sostenitori di Joe Biden su dieci sono di colore, contro solo l’1% di quelli di Pete Buttigieg. L’ex vicepresidente, tra i suoi elettori, ha anche la percentuale maggiore di ultrasessantacinquenni. Chi lo sostiene, non considererebbe un dramma trovare dei punti in comune con i repubblicani, anche se ciò volesse dire rinunciare ad alcune proposte dei democratici. Antitetico è il profilo dell’elettore di Bernie Sanders, che vanta la percentuale più alta di under 30, ovvero il 32%, e che ha oltre la metà dei sostenitori che non rinuncerebbero mai a vedere approvate le proprie proposte e che non hanno alcun interesse a trovare un dialogo con i repubblicani. Trovare un terreno comune con i propri avversari politici non sarebbe un problema per il 53% degli elettori di Elizabeth Warren. La loro priorità è lottare contro le disuguaglianze, per otto su dieci, è questo il principale problema in Usa. Gli elettori della senatrice del Massachusetts vengono descritti come istruiti e liberali. È tuttavia Pete Buttigieg ad avere la maggiore percentuale di persone con un livello di istruzione elevato, il 61% ha frequentato il college almeno per quattro anni o ha addirittura proseguito la propria formazione. Infine, non sorprende vedere che la maggior parte dei sostenitori di Bloomberg si definisce moderata o conservatrice.

Intanto le primarie democratiche proseguono con il South Carolina e con il Super Tuesday del prossimo 3 marzo, a quel punto avremo le idee più chiare su chi sarà davvero il front runner per la Casa Bianca, ma soprattutto, avranno le idee più chiare gli elettori su chi potrà sfidare davvero Donald Trump.

 

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