America
Orlando: le reazioni dei candidati alla Casa Bianca
Il massacro di Orlando irrompe nel dibattito politico americano. In particolare, quella che è stata definita la più grave sparatoria perpetrata negli Stati Uniti (con almeno cinquanta morti e cinquantatré feriti) è prepotentemente entrata nella campagna elettorale per le presidenziali di novembre. Un tema tanto più acceso non soltanto per il fatto che l’evento si sia verificato all’interno di un locale gay ma anche perché l’attentatore, Omar Saddiqui Mateen, sarebbe collegato al terrorismo islamista e – nella fattispecie – al Califfato di Al Baghdadi.
Tra i primi ad intervenire sull’accaduto troviamo il candidato repubblicano, Donald Trump, il quale ha prontamente connesso l’evento alla questione della sicurezza nazionale, riferendosi in termini critici tanto all’islamismo quanto – più in generale – all’immigrazione di matrice mediorientale. In sostanza, secondo Trump, il massacro di Orlando sarebbe il risultato di politiche fallimentari che da una parte consentirebbero flussi migratori incontrollati e dall’altra implicherebbero l’incapacità di chiamare le cose col loro nome. In tal senso, si spiegano le durissime critiche da lui rivolte a Barack Obama e Hillary Clinton nelle scorse ore. In una nota il miliardario ha infatti dichiarato: “Accogliamo più di centomila immigrati dal Medio Oriente ogni anno. Dall’11 settembre, centinaia di migranti ed i loro figli sono stati coinvolti in atti terroristici negli Stati Uniti. Hillary Clinton vuole drammaticamente aumentare le accoglienze dal Medio Oriente”. Parole dure, che riecheggiano quelle pronunciate dal magnate all’indomani della strage islamista di San Bernardino lo scorso dicembre, quando Trump arrivò a proporre l’idea di vietare temporaneamente l’ingresso dei musulmani in America. Secondo il magnate, colpa di Obama sarebbe quella di non riconoscere un “problema islamico” nella società americana, laddove il presidente ha invece costantemente replicato con la necessità di distinguere nettamente tra Islam e terrorismo, senza indebite confusioni (secondo una linea, tra l’altro, già adottata dall’amministrazione di George Walker Bush).
In tal senso, nonostante diverse critiche di sciacallaggio (come quella mossa al magnate dalla figlia del senatore John McCain, Meghan), a fianco di Trump si è prontamente schierato il suo vecchio avversario, il senatore texano Ted Cruz, sostenendo si debba abbandonare il politicamente corretto e parlare chiaramente di “terrorismo islamico”. Una posizione che, seppure con toni più morbidi, sembra aver sposato anche lo Speaker della Camera, Paul Ryan, mentre il senatore della Florida, Marco Rubio, ha puntato il dito contro l’ideologia terroristica. Alla luce di tutto questo, il problema per Trump non riguarderebbe la spinosa questione del gun control, essendo il candidato tra i più alacri sostenitori del II Emendamento (che consente il libero possesso di armi da parte dei cittadini americani), al di là di ogni possibile restrizione.
Una questione, quest’ultima, messa invece al centro dell’attenzione proprio da Hillary Clinton. Secondo l’ex first lady, non soltanto la strage di Orlando andrebbe letta primariamente come un atto d’odio contro i gay ma anche come il risultato di politiche non abbastanza attente alla libera circolazione delle armi da fuoco. “Alla comunità LGBT: sappiate che avete milioni di alleati nel nostro paese. Io sono tra questi”, ha dichiarato l’ex segretario di Stato, per poi aggiungere la necessità di introdurre misure più severe sul possesso delle armi. Una linea avanzata nelle stesse ore anche dal candidato socialista, Bernie Sanders, il quale ha definito l’accaduto “una cosa orrenda” e ha invocato una stretta sulle armi. Si tratta d’altronde di una vecchia battaglia del presidente Obama, la quale non ha tuttavia mai dato grandi risultati, vista l’opposizione da parte del Congresso ad ogni provvedimento in tal senso.
La strage di Orlando mette così tragicamente in luce forse la questione dirimente di questa campagna elettorale: quella della sicurezza nazionale. Un problema letto dai candidati attraverso lenti opposte e non si sa fino a che punto effettivamente conciliabili.
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