America
Obama posticipa le sanzioni all’Iran per non indebolire i moderati di Teheran
La tensione tra Washington e Teheran non pare sopirsi, determinando problematiche non solo sul fronte internazionale ma anche nelle dinamiche politiche interne ai rispettivi paesi. Dopo la recente risoluzione dell’ONU che aveva dichiarato illegittimi i test missilistici condotti dall’Iran in ottobre e novembre, mercoledì scorso il Dipartimento del Tesoro statunitense aveva annunciato nuove sanzioni contro la Repubblica Islamica ira: sanzioni, giustificate in risposta non solo alle violazioni del Nuclear Deal siglato a luglio ma anche alle relazioni scoperte tra il regime di Teheran e la Corea del Nord in campo militare.
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Subito Teheran ha risposto picche: con l’ayatollah Khamenei che ha rivendicato il diritto iraniano di portare avanti il proprio programma missilistico a scopi difensivi, sostenendo inoltre come questo non pregiudicherebbe assolutamente gli accordi viennesi. Un’irritazione, quella di Khamenei, che rischia di produrre forti ripercussioni in politica interna. Da anni, l’Iran appare difatti sempre più spaccato tra un’ala tendenzialmente moderata, guidata dal presidente Rohani, e una maggiormente conservatrice e smaccatamente anti-americana. Un’ala, quest’ultima, che – alla luce delle minacciate sanzioni di Washington – potrebbe rafforzarsi non poco in occasione delle prossime elezioni che si terranno in febbraio.
Anche per questo, Rohani ha fatto la voce grossa con la Casa Bianca: due giorni fa, ha difatti ordinato al ministro della difesa di accelerare il programma missilistico. Una risposta all’esecutivo statunitense e conseguentemente un modo per non prestare troppo il fianco alle critiche dei falchi iraniani che già da mesi lo bersagliano, accusandolo di essere troppo blando e annacquato.
Sennonché, poco dopo le minacce, Barack Obama ha fatto marcia indietro, affermando di voler rimandare l’imposizione delle sanzioni a data da destinarsi. Un voltafaccia repentino che – come riporta oggi il Wall Street Journal – ha provocato la reazione di ampie frange del Congresso: non solo tra i repubblicani (storicamente avversi a ogni apertura nei confronti di Teheran) ma anche tra i democratici. In sostanza, l’accusa mossa da numerosi deputati al presidente è quella di incarnare con questo atteggiamento contraddittorietà e debolezza. Con il rischio così di trasformare il Nuclear Deal in un accordo ad esclusivo vantaggio dell’Iran: il quale – trovandosi davanti a un partner così tentennante – si sentirebbe sempre più sicuro nell’aggirare paletti e patti stabiliti.
Ma Obama al momento non sembra cedere alle critiche. E il suo comportamento in questo frangente ricalca d’altronde un copione già visto alcune settimane fa, quando tra Teheran e Washington scoppiò l’incidente sulla restrizione dei visti. Il presidente americano prima sembra adottare una linea dura verso la Repubblica Islamica, che immediatamente poi ammorbidisce, cercando compromessi. E il nodo è sempre lo stesso. Obama ha fatto del Nuclear Deal (e più in generale dell’apertura a Teheran) uno dei capisaldi della propria politica estera. Un’autentica rivoluzione per gli Stati Uniti, che hanno sempre visto nell’Iran khomeinista un avversario irriducibile. Una svolta che gli è non a caso costata numerose critiche (soprattutto da parte repubblicana) ma che ha suscitato non pochi malumori anche sul fronte internazionale: non soltanto da parte di Israele ma anche di alcuni storici alleati sunniti (Arabia Saudita in primis).
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Senza poi contare che questa recente marcia indietro potrebbe spiegarsi anche come uno strategemma, per evitare di indebolire Rohani proprio nel periodo elettorale. L’attuale presidente iraniano è sempre risultato un interlocutore gradito agli occhi di quest’amministrazione: un’amministrazione, che adesso teme di potersi ritrovare davanti ad un’ulteriore radicalizzazione del khomeinismo. Obama dunque sembra agire per cercare di mantenere a tutti i costi l’intesa tanto difficoltosamente tessuta con Teheran, a partire dallo stesso Nuclear Deal. Ma il problema è che l’insofferenza verso questa apertura pare crescere ogni giorno di più. E chi siederà a partire dal 2017 nello Studio Ovale potrebbe non avere poi tanta voglia di portarla avanti. Un esito scontato, laddove si trattasse di un repubblicano. Ma anche Hillary Clinton, nonostante le recenti aperture verso la Repubblica Islamica, non è escluso possa presto tornare alle sue vecchie posizioni di falco anti-iraniano.
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