America
Obama e Putin: la posta è l’Europa. Ma Trump lo sa?
Obama ha sorpreso un pò tutti quando l’altro giorno ha espulso 35 “diplomatici” russi dal territorio statunitense in quello che è sembrato un colpo di coda per un’Amministrazione uscente.
Una mossa dal sapore novecentesco, quando le spie venivano scambiate al Check Point Charlie a Berlino Est e le paure viaggiavano sul filo del lucido riflesso delle testate nucleari di missili balistici intercontinentali.
A prima vista, quella di Obama potrebbe sembrare una mossa esagerata per un Presidente in scadenza di mandato. Ma questo agire risoluto è tutto tranne che un caso e le motivazioni ufficiali, ovvero le interferenze e gli hackeraggi russi, paiono poco più che spiegazioni di facciata in un quadro più complesso.
Questa azione infatti denota una sua logica politica molto coerente con ripercussioni sia interne che esterne agli Stati Uniti. L’obiettivo è triplice: indebolire Trump, snervare Putin e indirettamente mantenere l’Unione Europea in continuo affanno diplomatico e politico.
In prima analisi, ovvero quella riguardante la politica interna a Washington, diventa sempre più evidente che la mossa di Obama sia fatta per creare scompiglio al triplete repubblicano (Presidente, maggioranza alla Camera e maggioranza al Senato).
D’ora in avanti qualsiasi mossa di Trump che abbia sentore anche solo lontanamente accomodante nei confronti di Mosca avrà vita difficile al Congresso, dato che al Senato la maggioranza Repubblicana si tiene per due soli voti (52 senatori su 100).
E non sembra essere un caso se già il giorno dopo l’espulsione dei 35 russi i Senatori Repubblicani John McCain, Lindsey Graham e Amy Klobuchar – che molto si sono spesi in funzione anti Trump durante la recente campagna elettorale – hanno passato la vigilia di capodanno sul fronte ucraino ospiti di un Presidente Poroshenko vestito in divisa mimetica d’ordinanza.
Il messaggio dei tre per l’anno appena iniziato è inequivocabile: al Congresso vogliono far inasprire le sanzioni verso la Russia ed essere di maggior aiuto verso i loro amici, come ad esempio quelli ucraini (“We’re going to do two things: We’re going after Putin harder with tougher sanctions and we’re going to be more helpful to our friends, like here in Ukraine”). E visti i numeri risicati dei Repubblicani al Senato, i tre in questione possono davvero con una certa agilità battere i pugni sul tavolo con la futura Amministrazione di Washington. Aggiungendo questi elementi la cornice della mossa di Obama diventa molto più chiara e lineare.
Ad un secondo e differente livello di analisi, ovvero quello di politica estera, gli effetti forti sono due: uno diretto chiaramente verso la Russia, ed è quello alla luce del sole.
Ma l’altro, molto meno immediato, ma non meno potente per le conseguenze di instabilità che comporta, verso l’Unione Europea, che in questo quadro deve rimanere per gli USA un gigante economico e nel contempo un nano politico.
A ben vedere il fatto che la UE debba restare un blocco economico, ma non un partner o eventualmente un concorrente politico e di policies, è una dottrina divenuta principio diplomatico statunitense dalla fine della Guerra Fredda. Teoria politica non certo condivisibile per un europeista, ma sicuramente comprensibile con occhi Americani. E purtroppo teoria spesso supportata nella pratica da diversi Stati Europei che non hanno mai accettato una diminuzione dei poteri nazionali, arrivando alla situazione attuale: un mercato comune con 28 politiche differenti. Il risultato dal punto di vista interno sono tutte le asimmetrie derivanti da questo iato, che ben conosciamo e che allontanano i cittadini dall’istituzione comunitaria stessa.
In termini di Politica Estera la realtà dei fatti è che noi Europei purtroppo la subiamo passivamente invece di farla quando le cose vanno bene, o seguiamo 28 agende diplomatiche differenti quando le cose vanno male (consoliamoci, saranno 27 dal dopo Brexit).
In questo quadro, quelle che potrebbero essere viste come beghe afferenti unicamente gli USA e la Russia avranno serie ripercussioni ai confini europei col rischio di una recrudescenza del conflitto ucraino, che sebbene sia dimenticato dai media, solo nel 2016 ha visto 1567 soldati ucraini feriti o uccisi.
Risuonano quindi ancora le parole forti rispecchianti la portata e l’importanza della politica estera della UE pronunciate da Victoria Nuland, che indenne e con diversi titoli ha continuato il proprio lavoro governativo nelle varie amministrazioni Clinton, Bush e Obama e che attualmente è a capo del “Bureau” per gli Affari Europei e dell’Eurasia, ovvero quel Dipartimento di Stato Statunitense incaricato di implemetare la politica estera americana in Europa e in Eurasia, la quale Nuland nel 2013, poco prima della rivoluzione ucraina, sintetizzo il tutto col famoso “Fuck the EU” da intendersi come “chi se ne frega della UE”.
In conclusione, il Presidente eletto Trump è consapevole del fatto che la posta è l’egemonia in Europa? E se lo è quali saranno le sue politiche verso Mosca e verso l’Europa? Dall’alba dei tempi nessuna super potenza ha accettato di diminuire le proprie sfere di influenza per galanteria e dubito seriamente che la prossima Amministrazione Americana possa e voglia essere la prima.
Ma soprattutto noi Europei lo sappiamo e ne siamo consapevoli?
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