America

Nancy Reagan: lo stile al potere

6 Marzo 2016

Sottile è il fascino dell’eminenza grigia. Nel corso della Storia, questa figura è stata generalmente incarnata da personaggi oscuri, nascosti nell’ombra, finanche sgradevoli, per quanto indubbiamente geniali nell’arte di suggerire, condurre e manipolare segretamente gli scettri. Che cosa resta infatti di personaggi come Leclerc du Tremblay o Tailleyrand, se non l’immagine di spettri spregiudicati e intelligentissimi, capaci tuttavia di parlare esclusivamente al freddo raziocinio del trono? Al mondo ristretto e sanguinoso degli Arcana Imperii, prescindendo totalmente dalla forza aperta e spavalda del carisma popolare? Non così Nancy Reagan.

L’ex first lady, morta oggi a 94 anni, sapeva che cosa fosse il potere. E soprattutto sapeva come una first lady possa rivelarsi qualcosa in più di un semplice soprammobile. Un regista, sapiente e attento, in grado di intervenire nei delicati ingranaggi del decisionismo politico. Strana donna, Nancy Reagan. Una figura ossimorica,  capace di riassumere in sé contraddizioni esasperate. Eppure armoniche, brillanti, forti. Una donna esile, eppure potentissima. Una segreta consigliera, eppure mondana, popolare, telegenica. Una donna possessiva, a tratti inquietante, che alle lugubri ombre dell’eminenza grigia riuscì ad imporre il giogo dello sfarzo: concretando fattualmente le linee ideologiche della Reagan Revolution. L’ottimismo, il successo, l’opulenza, la forza intramontabile del sogno americano. Quella forza che, dopo il pantano della crisis of confidence, tornava a farsi luce, nella speranza alacre e affamata di una nuova alba: it’s morning again, America!

Il glamour che assurge a instrumentum regni, come prova tangibile di un successo promesso: di una nazione in ginocchio ma pronta a ripartire. L’abbandono del complesso di inferiorità verso la grandezza rediviva. In tutto questo, Nancy ha rappresentato forse una delle icone più forti, grandi e durature del reaganismo. Un’immagine concreta, nel suo rosso acceso, che ha saputo spregiudicatamente coniugare i fasti fashion di Jacqueline Kennedy con l’aristocrazia pragmatica di Barbara Bush. Una donna, costantemente contesa tra pubblico e privato, che ha saputo armonizzare un’immagine glamour all’arte del suggerimento politico. Un perenne passaggio dalla luce all’ombra, che le ha garantito un’influenza notevole nel corso dei due mandati presidenziali di Ronald. Quell’influenza e quell’incisività che sono mancati di contro a Hillary. Anche lei donna ambiziosa, anche lei avvezza al potere, non ha mai accettato il percorso più defilato di Nancy, preferendo una ribalta militante e dura. Che da first lady non l’ha mai ripagata. Non solo si attirò numerose critiche per quello che molti additavano come un indebito sconfinamento. Ma gli stessi incarichi istituzionali, affidatile formalmente dal marito Bill, si risolsero sovente in un buco nell’acqua. Senza poi contare l’incapacità nell’incarnare un’epoca, un’idea.

Il contrario di Nancy. Alleata e tutrice del suo Ronnie, se ne è fatta principale portabandiera, nel nome di un’intesa saldissima, costellata di molte luci e qualche ombra. Nancy svolse un ruolo decisivo nei rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica negli anni immediatamente precedenti al crollo del Muro di Berlino, incoraggiando il marito ad una maggiore distensione verso Gorbaciov e mandando in fumo le bellicose strategie delle ali neoconservatrici. Dall’altra parte, il rapporto con Ronnie fu anche spesso dettato da una forte possessività, che aumentò dopo l’attentato da lui subìto nel 1981. Una possessività che determinò non pochi malumori e attriti in seno allo staff presidenziale.

Oggi, con Nancy Reagan, se ne va un pezzo importante della Storia repubblicana. La rappresentante e forse l’ultima guardinga depositaria dell’ortodossia reaganiana. Un’ortodossia oggi preda di avvoltoi, intenti a contendersene le spoglie. Un’ortodossia tramontata, che va man mano naufragando all’interno di un partito repubblicano sempre più agitato dalle urla del radicalismo populistico. Un partito che continua a considerare Ronald Reagan il centro del proprio pantheon politico ma che del suo spirito – ottimista, energico, fiducioso – si è ormai da tempo dimenticato. Anche per questo la morte di Nancy assume oggi un potentissimo significato simbolico. Nel momento di ascesa dei Trump e dei Cruz, l’uscita di scena della moglie di Ronnie sembra quasi presentare i connotati di un monito: malinconico e ineluttabile. La consapevolezza amara di un fatto: che stavolta è davvero finita.

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