America

Maria Cartones, Chiapas 1975

17 Maggio 2016

Maria Cartones” è una foto del messicano di Antonio Turok scattata a San Cristobal de las Casas, Chiapas, nel 1975.

Quella di Maria Cartones è una vicenda triste e straziante quanto la foto di Turok, che si mischia alla realtà, alla storia e diventa leggenda. E documento storico.

Indigena di San Juan Chamula (comunità maya tzotzil autonoma a qualche chilometro da San Cristobal), Maria era (sarebbe stata) la sposa di un uomo che ricopriva un’alta carica religiosa all’interno della comunità.  Il marito muore prima di portare a termine il suo compito e la moglie viene rivestita del ruolo di Martoma Sacramento, la “guardián del santo”, un alto incarico religioso, il più alto per una donna.

L’incarico, oltre che prestigioso, è costoso: richiede spese che la donna non può sostenere. Per questo la comunità le dà il permesso di recarsi a San Cristobal per piccoli commerci come la vendita di artigianato o prodotti della terra.

A San Cristobal, o sul cammino, Maria viene aggredita e stuprata, e da quella violenza nasce un figlio. Doppia, la vergogna, che la esclude dalla comunità di apparenza e la lascia senza una casa o un posto dove tornare. Il figlio, alla nascita, viene preso, o accolto, da un gruppo di religiose. Che venga dato in adozione o che venga allevato dalle monache poco importa.

E nel mezzo, prima o dopo, Maria “diventa pazza”: vive da mendicante, senzatetto, una figura che gira e grida per le strade di San Cristobal. Senza casa, senza il figlio, rinnegata dalla sua comunità.

Il volto, ricoperto di fango, sporcizia ed escrementi, è una maschera che le serve tenere lontano chi di lei ha abusato, una rabbia urlata nelle vie di San Cristobal. Questo è quello che si dice Maria gridasse per strada.

“Maria” è probabilmente un nome inventato, scelto a simbolo di una figura di donna sofferente, senza redenzione, così come “Cartones”, che sta a indicare le persone che vivono in strada, nei cartoni appunto.

Ma la storia è vera, almeno in parte. Una mendicante chiamata “Maria Cartones” a San Cristobal è esistita, ricordata in racconti diversi e in storie non sempre coerenti: c’è chi addirittura chi dice fosse stata internata in un ospedale psichiatrico a Città del Messico.

La sua storia non è solo quella di “questa” Maria, è la storia che accomuna quella di tante donne indigene del Chiapas: una leggenda, una verità romanzata, che racconta la realtà di oppressione, sfruttamento, violenza e dominio. Una storia particolare che è una storia comune, di comunità e di popolo, che arriva da molto prima degli anni Settanta (quando la foto è stata scattata) e che va molto oltre.

Mi dice Anna Susi, storica e iconografa, che sulle foto di Turok ha lavorato a lungo per la sua tesi di dottorato in Studi Latinoamericani (che diventerà un libro), che la pratica femminile del ricoprirsi il volto con la terra, vestirsi di stracci e rendersi “detestabile” agli occhi del maschio (conquistatore) è stata ritrovata in alcune cronache del periodo che segue la colonizzazione spagnola: si racconta che le donne utilizzassero questo espediente per evitare di essere aggredite sessualmente e/o diventare parte del “bottino” dei conquistadores.

 

dddd

La foto di Maria Cartones si trova in un libro, a mio parere bellissimo, “Chiapas. El fin del silencio”: una raccolta delle immagini che Turok ha scattato in Chiapas dal 1973 al 1995. Scorci unici della vita dello Stato e delle comunità indigene che mette insieme i diversi volti del Paese messicano. Non solo comunità indigene, non solo Zapatismo, ma l’anima di una realtà complessa che va dai grandi latifondi alla povertà estrema, dalla guerriglia alla vita di comunità, dalle religioni ai rapporti famigliari.

A Tijuana è ora possibile vedere, fino al prossimo agosto, il lavoro di Turok nella mostra “La semilla y la esperanza. Las luchas armadas vistas por Antonio Turok“.

 

Fonti:

– Fotografía y guerrilla en América Latina : Antonio Turok y la construcción del subcomandante Marcos | Tesi di dottorato in Estudios Latinoamericanos di Anna Susi

– Chiapas. El fin del silencio, Antonio Turok, 1998

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.