America

Lo strano ruolo della Siria nella corsa di Trump alla rielezione

21 Ottobre 2020

Il Wall Street Journal ha rivelato domenica scorsa che un alto ufficiale statunitense, Kash Patel, si è recentemente recato in Siria per incontrare alcuni funzionari siriani, leali al Presidente Bashar al-Assad.
L’amministrazione statunitense mira ad ottenere il rilascio di due ostaggi americani detenuti dalle autorità di Damasco, ovvero Austin Tice e Majd Kamalmaz.

I manifesti di Austin Tice (sx) e Majd Kamalmaz (dx) presenti sul sito FBI, alla voce persone scomparse o rapite.

Tice è stato sequestrato a Darayya nel 2012 dalle autorità governative, mentre Kamalmaz, uno psicoterapeuta siriano e cittadino americano, è stato arrestato a un checkpoint lealista a Damasco, nel 2017.
L’attenzione dell’amministrazione americana si concentra particolarmente sulla figura di Austin Tice; Donald Trump spera infatti di poter rimpatriare il giovane giornalista e ex-marine sano e salvo, sulla scia di altre liberazioni di ostaggi americani  avvenute nel corso del suo mandato, in vista delle elezioni presidenziali.
Lo scorso marzo il tycoon americano ha scritto personalmente a Bashar al-Assad in merito alla vicenda, e rispondendo a una domanda nel corso di una conferenza stampa ha così commentato: “Stiamo facendo del nostro meglio […] Quindi Siria, per favore, collabora con noi. Apprezzeremmo molto se lo lasciaste andare. Se pensate a ciò che abbiamo fatto, ci siamo sbarazzati dell’ISIS in Siria. Abbiamo fatto moltissimo per la Siria…Quindi apprezzeremmo molto se liberaste Austin Tice. Immediatamente“.
Il Washington Post ha riferito che però da Damasco non giunse nessuna risposta alla missiva di Trump.
Secondo il portale d’informazione Syria Files vi sono anche le agenzie di intelligence europee, assieme a quelle russe e iraniane, alla ricerca di informazioni su Austin Tice e il suo luogo di detenzione, e questo avrebbe portato i servizi siriani ad accentuare la sicurezza attorno all’ostaggio statunitense.

Lo scoop del The Wall Street Journal è stato confermato anche dal quotidiano siriano filo-governativo al-Watan.
Alcune fonti siriane hanno infatti discusso con al-Watan il viaggio di Kash Patel in Siria, sostenendo che egli abbia raggiunto Damasco in compagnia di Roger Carstens, Inviato Speciale per gli Ostaggi.
Per il quotidiano i due ufficiali statunitensi avrebbero incontrato Ali Mamlouk, fedelissimo di Bashar al-Assad ed a capo di una delle principali agenzie di intelligence della Siria, e il meeting sarebbe stato preceduto da altri tre, avvenuti nei mesi e negli anni precedenti.

Secondo Joyce Karam per il The National la Siria avrebbe formulato una richiesta particolarmente pesante per gli americani, ovvero il completo ritiro delle truppe statunitensi dal suolo siriano.
I soldati americani infatti sono dispiegati in diverse aree del paese, principalmente nel nord-est del paese, a sostegno delle Forze Democratiche Siriane, e nella crocevia di al-Tanf fra i confini della Siria, la Giordania e l’Iraq, a supporto dell’Esercito di Commando Rivoluzionario.
Cruciale nei negoziati, riporta la Karam, è il ruolo del capo della sicurezza libanese, il Maggiore Generale Abbas Ibrahim.
Abbas Ibrahim ha precedentemente preso parte alla liberazione di altri ostaggi statunitensi, Sam Goodwin dalla Siria e Nizar Zakka dall’Iran; in patria ha inoltre lavorato per stringere accordi con militanti palestinesi e estremisti dello Stato Islamico, volti a risolvere alcuni sanguinosi scontri armati.
Il funzionario libanese, fresco da alcuni viaggi negli Stati Uniti e in Siria, è stato definito come un “mediatore chiave” da Randa Slim, ricercatrice del Middle East Institute: “Ibrahim ha le carte in regola per lavorare sugli ostaggi statunitensi in Siria ed Iran […] Ha ottime relazioni con la leadership di Hezbollah e nel corso di anni ha intessuto una serie di personali relazioni e contatti con alti ufficiali siriani, iracheni e iraniani, all’interno dei circoli politici e d’intelligence“.

Un miliziano ribelle del gruppo Esercito di Commando Rivoluzionario, dispiegato presso la base americana di al-Tanf (Esercito di Commando Rivoluzionario, Twitter).

Un funzionario libanese, intervistato da Newsweek, ha affermato che nel suo viaggio a Washington Abbas Ibrahim ha fornito alle sue controparti americane informazioni su Tice e Kamalmaz, riportando inoltre le richieste delle autorità siriane.
Damasco mira ad ottenere un accordo con Donald Trump che contempli il ritiro di gran parte delle truppe statunitensi in Siria, nello specifico quelle dispiegate nella base di al-Tanf, e la rimozione parziale o totale delle sanzioni americane imposte al paese.
Gli Stati Uniti hanno infatti imposto molteplici sanzioni alla Siria fin dal 1979, accentuandole e diversificandole a seguito della brutale repressione governativa che ha colpito le manifestazioni anti-governative svoltesi nel 2011, e soprattutto in risposta ai numerosi crimini commessi dalla leadership siriana e dall’esercito regolare contro la popolazione civile.
L’ultimo pacchetto di sanzioni è entrato in vigore il 17 giugno scorso sotto il nome di “Caesar Act”, e ha colpito il settore commerciale e finanziario siriano quasi interamente, assieme inoltre a diversi funzionari del paese, fra cui il Presidente Bashar al-Assad.

La strategia di Trump sembra chiara, stringere un accordo con Assad a ridosso delle elezioni presidenziali e sfruttarlo per risalire nei sondaggi, presentandosi come l’uomo che ha riportato a casa gli americani detenuti all’estero.
L’eventuale ritorno a casa di Austin Tice e Majd Kamalmaz si affiancherebbe al recente salvataggio di altri due ostaggi statunitensi in Yemen, e all’accordo di normalizzazione fra Emirati Arabi Uniti e Israele, fortemente sponsorizzato da un Trump con un rinnovato interesse per la scena mediorientale.
Ma rispetto agli episodi precedenti la trattativa sembra particolarmente ostica e non è detto che vada in porto.
Non vi è infatti rispettiva fiducia fra gli ufficiali americani e siriani, e se è vero che il Presidente Trump ha manifestato più volte l’intenzione di ritirarsi militarmente dalla Siria, molti funzionari americani non sono della stessa opinione e giudicano le richieste siriane esagerate, soprattutto fra i corridoi del Pentagono e del Dipartimento di Stato.
Non è al tempo stesso da escludere che le parti giungano a stringere un accordo di massima in vista delle elezioni, che accontenti nell’immediato sia il presidente USA e l’élite siriana, ma che non si traduca in una completa implementazione in Siria, soprattutto nel caso in cui Donald Trump perda le elezioni del 3 novembre.

Fabrizio Chevron

Per le fonti, contattare l’autore in privato.

 

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