America
L’incubo americano
Come ci si sveglia in un paese satellite degli Stati Uniti, nuovamente dominati da Trump?
Che avesse vinto Harris o Trump per l’Italia non cambia molto, avremmo sempre obbedito al presidente di turno. Ciò che cambia è che i nostri ultraconservatori al potere si sentano più spalleggiati, che l’idillio Musk-Meloni possa essere esaltato, che l’irrazionalità, alla fine, possa dilagare ulteriormente.
In quanto a irrazionalità sia gli Stati Uniti sia l’Italia si sanno esprimere benissimo, diciamo in generale, a destra o a sinistra o al centro, ma credo che siano i tempi che esaltano quest’irrazionalità invasiva. L’attrazione verso l’irrazionale è più forte, alle persone piace sognare un mondo “migliore”, l’utopia è sempre un argomento forte per i politici che vogliono sedurre l’elettorato. Le mille promesse che poi non vengono mantenute, quasi sempre, e che alla lunga fanno incazzare gli elettori e li fanno disamorare alla politica perché vedono che, o si voti viola o si voti verde a palline gialle, alla fine chi governa si distrae e scorda le promesse. Non per cattiveria ma proprio per costume, le parole sono svilite, come dicevo in un mio recente articolo e perdono il loro valore.
Trump è il sovrano assoluto delle bufale e forse è per questo che una società molto immatura e disinformata come quella usoniana va dietro al pifferaio di Hamelin di turno. Nonostante abbia commesso dei crimini, sia finito in tribunale (che poi, la giustizia americana, lasciamo stare…), abbia manifestato il suo disprezzo per emigranti, poveri, donne e altre categorie di persone, il biondo miliardario che spacca tutto è proprio l’eroe o antieroe tipico della cultura usoniana di riferimento.
Il passato coloniale, il Far West, una religiosità bigotta, la conquista di un territorio per impiantarci le proprie fattorie, cosa che si ritrova, con altre valenze ma con modi simili, in Israele, sono alcuni dei fattori che determinano una cecità perfino davanti all’evidenza.
Forse è anche un non saper riconoscere quest’evidenza, scambiandola per qualcosa di positivo, di costruttivo, in una sorta di analfabetismo intellettivo, dove la sintassi sfugge e si capisce una cosa per un’altra.
Infatti, se il Partito Democratico dovrebbe essere quello che prende a cuore il benessere dei più deboli, che rappresenta una condivisione dei diritti e dei doveri con un’attenzione alle minoranze, ossia ciò che dovrebbe fare una vera democrazia, viene percepito dalla maggioranza della popolazione come un partito dell’élite. Forse perché mediamente gli elettori democratici sono un po’ più istruiti dei repubblicani, viaggiano di più, s’informano di più, e corrispondono meno a una classe operaia e lavoratrice che è molto cambiata nel corso degli ultimi decenni, con fallimenti epocali e cambiamenti prospettici di sviluppo e di qualità del lavoro. È una realtà assai diversa da quella che viviamo noi, dal punto di vista sociale ed economico, ma la percezione del nostro PD, da parte della maggioranza delle persone è assai simile, ossia che si tratti, ormai, di un partito elitario, incapace di parlare a strati sociali diversi, chiuso in una turris eburnea a cantarsela e a suonarsela. E, per buona parte, accade proprio questo.
Questo accade, probabilmente, anche perché l’analfabetismo metaforico e concreto che affligge buona parte delle società occidentali attuali è sempre più dilagante e impedisce alle persone di usare la logica, sconosciuta. Trump, pur essendo il campione di un capitalismo esasperato e distruttivo, un ultramiliardario che passa sul cadavere di chiunque perché i ricchi sono meglio dei poveri e basta, viene percepito come vincente da persone anche povere, anche modeste, di certo non ricche come il loro tycoon, ciò che aspirerebbero a diventare secondo il sogno americano, e indirizzano verso questa immagine ideale tutti i loro desideri e i loro sogni, come se il Partito Democratico lottasse contro il sogno americano.
Addrittura Kamala Harris è stata tacciata da Trump come comunista, senza che la gente sappia cosa significa essere comunisti né abbia idea di cosa sia il comunismo, né di chi siano Marx o Engels. È il solito spauracchio come di un mostro sempre in agguato, come faceva Berlusconi da noi, agitava il fantoccio comunista come il massimo pericolo, quando il massimo pericolo è sempre stato lui e lo ha dimostrato ampiamente, rovinando il sistema giudiziario colle leggi ad personam e l’istruzione e la sanità pubbliche. E la gente povera di spirito e d’istruzione ci casca, crede a questi imbonitori, perché il loro è un linguaggio basico, fatto di slogan, come ormai ripeto da tempo, tipico degli psicofascisti.
Trump è il tipico psicofascista, ma forse è anche oltre. Lui è un assoluto cinico che adora il potere, non gli bastano i soldi. Il suo ego è talmente smisurato da pensare di sostituirsi a una divinità.
Lo Zeus della serie Kaos, modellato sulla parodia della mitologia greca, calza a pennello con la figura di Trump, un uomo maturo (nel caso di Trump più che maturo, diciamo decrepito) che vede che ciò che ha non gli basta più e ha paura di perderlo perché la “famiglia” va difesa, in quanto vede lì la sua continuità e, soprattutto, ha bisogno di circondarsi di persone fedeli, un suo cerchio magico. Ha paura delle profezie, Zeus, e vuole vendicarsi degli umani che ormai non credono più in lui e lo contestano. E lui decide della vita e della morte di chi a lui si oppone.
Trump uguale, non gli piacciono le contestazioni, è pronto a offendere e punire i suoi oppositori, vuol controllare tutte le sedi del potere per metterci persone di fiducia che impediscano all’opposizione qualsiasi vagito, vuol controllare la giustizia, lasciando libere le persone di “difendersi”, di usare le armi per mantenere la “libertà”, che nella visione usoniana significa “faccio quello che mi passa per il capo”.
Questo cinismo portato alle estreme conseguenze attrae, evidentemente, le menti più deboli, senza un senso di responsabilità, di coscienza di sé stessi e del mondo che li circonda. E l’egocentrismo e l’egoismo che caratterizza la società capitalistica, soprattutto usoniana, viene esaltato. Le stragi di squinternati in possesso di armi comprate sulla rete o nei negozi si sono moltiplicate senza controllo.
Adesso, Kamala Harris è abbastanza lontana dal comunismo come possiamo intenderlo noi e non è sicuramente quella rappresentante di una socialdemocrazia come la intendiamo in Europa ma di sicuro, in una valutazione sommaria, è meno assoluta di Trump e attenta alla posizione delle minoranze, alla sanità pubblica, portata avanti da Obama, seppure lontana dalle sanità pubbliche europee, le quali sono pure in via di disfacimento per politiche simili a quelle conservatrici americane. Quella italiana è abbastanza vicina al collasso, per esempio, checché ne dicano la biondina e i suoi fedeli.
Poi, certo, per governare il paese più forte del mondo, che è quello ugualmente riproposto da Trump, Make America Great Again (MAGA), si fanno scelte impopolari, come gestire guerre qua e là per il mondo, e Clinton e Obama ne hanno gestite, eccome. MAGA presuppone che, nonostante gli USA siano sempre in mezzo a conflitti planetari, gestendoli malissimo e lasciando sempre macerie, altro che democrazie esportate, non siano stati più “grandi”. Nell’immaginario collettivo l’America era “grande” perché è stata dominante sul pianeta, era quella che aveva portato l’uomo sulla Luna, quella che aveva vinto la Seconda Guerra Mondiale, quella che combatte sempre contro i cattivi. I buoni, insomma. Chi non è con me è contro di me. E Harris evidentemente non incarna questo sogno, e non può incarnarlo perché viene percepita come fittizia, una buggeratura.
Gli usoniani, essendo un popolo gravemente immaturo, invece vanno dietro alle chimere repubblicane, non importa se fasulle, bugiarde, seppure attraenti in quanto favolistiche.
D’altro canto la fabbrica di sogni più potente e attiva sta negli Stati Uniti, a Hollywood, e la collisione tra piani reali e immaginari comincia proprio lì. L’epopea del grande West, presente fin dall’inizio del cinema, è la Storia degli USA; sebbene analizzata e digerita, evidentemente non è stata ancora metabolizzata e rifiutata e c’è sempre un Via col vento in agguato. Ci sono sempre frange razziste qui e là, sparpagliate, e spesso sono alimentate dai politici, che, per ricevere i voti di quegli elettori spaventati dal diverso, fanno perno proprio sulle loro paure.
E le paure si manifestano sublimate nell’immaginario cinematografico, nel gotico, nel nemico che non si vede, Halloween da uno a centomila, gli asteroidi cattivi, gli X-files, i serial killer, le guerre tra i mondi e così via, oltre a tutti i film di spionaggio e di complotti spaziali, gli eroi Marvel, eccetera, sono tutti i fantasmi culturali di un paese ammalorato, pieno di paure.
La paura è uno dei fattori fondamentali del trionfo delle politiche conservatrici, in generale. Anche da noi il successo di Salvini e Meloni è tutto basato sulle paure, in massima parte proveniente dai migranti, esagerando il problema, che c’è ma non è così predominante, fatte quindi proprie e ingigantite da proiezioni che non esistono.
L’unica difesa è la chiusura, non ci sono politiche d’integrazione che tengano, è più facile non affrontare il problema e rifiutarlo e questo viene fatto apparire come “difesa dei confini”.
Uguale fa Trump, ma né Clinton, né Obama né Biden hanno demolito le opere murarie di contenimento iniziate da Bush al confine col Messico, manifestando quindi una connivenza con questa mentalità “difensiva”.
Ciò che fa specie è che molti sostenitori di Trump sono ex-migranti, ignoranti come le capre, che hanno probabilmente dimenticato da dove vengono.
Così come molti sostenitori di Salvini e Meloni sono meridionali del nord Italia di seconda generazione, dimenticando le cose terribili che Salvini ha detto sui meridionali.
Io ho dei parenti nello stato di New York, arrivati lì colle migrazioni all’inizio del XX secolo. Le generazioni successive non conoscono l’Italia da cui proveniva la famiglia, non conoscono la lingua né la cultura italiana, hanno un’idea dell’Italia e degli italiani assai lontana dalla realtà e sono tutti conservatori. Nonostante gli italiani, negli USA, fossero trattati come selvaggi, soprattutto all’inizio. Tutto dimenticato. Ma lì molti hanno fatto fortuna, col proprio lavoro e magari aiutati anche da amici degli amici, e hanno deciso che il partito conservatore fosse la miglior garanzia, arricchitevi come meglio potete.
Il peccato originale sta proprio nel passato ultraconservatore degli USA, già dai Padri Pellegrini e dall’atmosfera soffocante e bigotta che si è sempre respirata, soprattutto nelle sconfinate e isolate praterie più che nelle metropoli. Gli stati centrali hanno una società agghiacciantemente arretrata e spesso fanno, infatti, da sfondo a romanzi e film dell’orrore, dove l’ignoranza è ai massimi gradi e dove i predicatori, di qualsiasi tipo, mietono grandi successi. Essere un diverso, in quelle società, significa non passarsela bene.
La realtà, a ogni buon conto, è ben più complessa della mia analisi riassuntiva, sebbene i punti cardinali su cui la mentalità generale usoniana si basa siano quelli.
È ovvio che nelle metropoli le persone siano un po’ più avvertite che nelle campagne, ma, sempre per tornare ai miei parenti della provincia di New York, quelli non andavano quasi mai a New York perché per loro era un luogo pericolosissimo. Non andavano quindi a teatro, all’opera, ai musei, alle mostre, perdendosi cose che forse avrebbero contribuito un po’ ad aprire loro gli occhi.
La provincia, coi suoi centri commerciali dove si poteva comprare di tutto, anche alimentazione (scadente) a prezzi bassissimi, era sufficiente. Auto enormi di cui si sentiva il carburatore succhiare un litro di benzina al chilometro erano i loro giocattoli preferiti. Si riunivano al pomeriggio per il cake and coffee, per il Ringraziamento, per Natale, addobbando i giardini con luci e slitte che si vedevano dalla Luna, si facevano pochi secondi di silenzio per ringraziare del pasto prima di cena, e così via. Per il resto c’era la televisione, colle sue sit com, le sue serie, le sue pubblicità invadenti di cose superflue, e questo bastava per avere un’idea del Paese, che ci si andava a fare a New York. E io, quando andavo a visitarli, diversi anni fa, trasecolavo, non capendo quest’attaccamento all’ignoranza e al consumo di cose inutili, scappando il più possibile per fruire di ciò che la metropoli offriva.
E lì, comunque, eravamo a poca distanza da New York. Immagino cosa significhi stare nell’Arkansas o nel Wyoming. Si salvi chi può.
Comunque, godiamoci Trump e la sua ignoranza per quattro anni. I democratici avranno tempo di riflettere su progetti plausibili e, soprattutto, su leader presentabili per la prossima volta. Tanto, per noi, Trump o Harris, come dicevo all’inizio, cambia poco.
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