America
L’Election Day si avvicina. I sette Stati decisivi e le altre partite aperte
Manca poco ormai.
Martedì gli americani sceglieranno il Presidente che li guiderà (e non guiderà solo loro) per i prossimi quattro anni.
Insieme a lui, in 33 dei 50 Stati si eleggeranno 34 dei 100 potentissimi Senatori. E ancora, si rinnoverà l’intera Camera dei Rappresentanti (che resta in carica 2 soli anni) e si eleggeranno 11 Governatori degli Stati (oltre a quelli di Puerto Rico e delle Samoa). Oltre a migliaia di cariche minori.
In verità hanno già iniziato a farlo: 65 milioni di americani, infatti, hanno già votato per corrispondenza. Altri lo faranno prima di martedì.
Gli spot che inondano l’America in questi giorni e le polemiche tra i candidati per loro non contano nulla.
Manca poco e, dunque, è il momento migliore per anticipare quello che accadrà.
Per leggere nelle centinaia di sondaggi e nelle tendenze che il dibattito politico fa emergere le indicazioni utili per capire costa sta accadendo.
Una premessa: la gran parte dei sondaggi che riguardano le competizioni “aperte” predice esiti di vantaggio di questo o quel candidato con percentuali inferiori alla soglia di errore dichiarata dal sondaggio stesso. In un mondo razionale sarebbero trattati come chi predice l’esito del lancio di una monetina.
Incrociarne gli esiti attesi, valutare non solo l’esito del sondaggio ma l’istituto che lo ha effettuato, coniugare i dati con l’analisi politica e sociologica dell’America di oggi, dei vari Stati e della sua composizione sociale e etnica aiuta a immaginare ciò che accadrà.
Io ci provo.
Mercoledì vedremo se e quanto sono andato vicino alla realtà.
Le elezioni per i Governatori.
Qui è davvero molto facile. Non cambierà nulla.
Negli 11 Stati in cui si vota, in 8 il Governatore uscente era GOP e in 3 DEM.
Tutti e 4 i Governatori GOP uscenti che si ricandidano saranno sicuramente rieletti (Montana, Utah, Vermont e West Virginia) e con loro lo saranno anche i 3 nuovi candidati GOP alla carica di Governatore di Indiana, Missouri e North Dakota.
Lo stesso accadrà per i 3 candidati DEM che succederanno al Governatore uscente di Delaware, North Carolina e Washington.
Unico Stato in cui la competizione può riservare qualche sorpresa è il New Hampshire.
Il Governatore uscente GOP non è in corsa e il candidato DEM gode di buoni sondaggi, ma difficilmente riuscirà a conquistare l’esecutivo dello Stato.
Se anche nel New Hampshire i sondaggi favorevoli al candidato GOP saranno confermati, i repubblicani manterranno 27 Governatori contro i soli 23 DEM.
House of Representatives.
Come è noto, la Camera viene rinnovata integralmente ogni due anni.
Nelle elezioni di midterm del 2022, il GOP ha conquistato la maggioranza assoluta dei 435 seggi (GOP 222- DEM 213).
Non conosco a sufficienza e nel dettaglio le dinamiche e le tendenze in atto che determineranno l’esito delle 435 competizioni elettorali.
Troppo complesso per me.
Mi limito a riferire le indicazioni che emergono da quanto pubblicato dai siti che riportano tutti i sondaggi realizzati per le competizioni ed elaborano medie piuttosto indicative di ciò che accadrà. Secondo questi dati (tradizionalmente molto affidabili) la situazione sarebbe questa:
GOP 201
DEM 192
Incerti 42 (di cui seggi attualmente GOP 19 seggi attualmente DEM 23).
Il controllo della Camera rimarrà quindi, quasi sicuramente al GOP, che potrebbe addirittura permettersi di perdere 2 seggi tra quelli classificati come incerti, mantenendo comunque la maggioranza dell’assemblea.
L’unico punto in discussione (aldilà del destino individuale degli 84 candidati in corsa per i seggi ancora incerti) è: quanto sarà ampia la maggioranza GOP alla Camera.
Senato.
In precedenti articoli (per chi fosse interessato: qui, qui, qui, e qui dettagli e approfondimenti) mi sono soffermato a lungo sull’esito delle 34 sfide per il seggio senatoriale (33 per ordinaria scadenza e una “speciale” per la sostituzione di Sen. Ben Sasse, dimissionario in Nebraska).
La situazione è chiara e definita per 29 sfide su 34.
In particolare:
– saranno riconfermati tutti i 10 Senatori GOP uscenti e ricandidati (Florida, Mississippi, Missouri, Nebraska, Nebraska special, North Dakota, Tennessee, Texas, Wyoming): solo in Texas e Florida i candidati DEM hanno ancora qualche possibilità di competere, ma sono sicuro che non riusciranno nell’impresa di strappare il seggio attualmente detenuto da Sen. Ted Cruz (Texas) e Sen. Rick Scott (Florida);
– i 2 seggi senatoriali di Indiana e Utah, attualmente detenuti da candidati GOP che non hanno presentato la loro ricandidatura (rispettivamente Sen. Mike Broun e Sen. Mitt Romney) saranno agevolmente riconquistati dal candidato GOP;
– i DEM perderanno sicuramente 2 seggi senatoriali: Montana (in cui Sen. Jon Tester non riuscirà a conquistare un quarto mandato) e West Virginia (dove il ritiro di Sen Joe Manchin in carica dal 2010 consegnerà facilmente il seggio al candidato GOP)
– verranno sicuramente riconfermati per un nuovo mandato 12 senatori DEM in scadenza e ricandidati (Connecticut, Delaware, Hawaii, Maine, Massachussetts, Minnesota, New Mexico, New York, Rhode Island, Vermont, Virginia, Washington) e saranno eletti i 3 candidati DEM che confermeranno i seggi detenuti da senatori DEM che hanno deciso di uscire di scena (California, Maryland e New Jersey).
La situazione che risulta da queste sfide senatoriali è, dunque GOP 51-DEM 43, con tutti e 6 i seggi ancora in bilico detenuti dai DEM (Nevada, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin, dove si ripresenta il Senatore Dem uscente, e i “seggi open” di Arizona e Michigan).
Una caratteristica accomuna tutte e 6 queste sfide senatoriali: i candidati DEM sono dati in vantaggio (sia pure di misura) e le percentuali stimate nei sondaggi superano quelle attese nel medesimo Stato per Kamala Harris: in qualche caso anche molto nettamente come in Ohio, dove Sen Sherrod Brown è dato in vantaggio (di 1 o 2 punti) mentre la corsa alla Presidenza sarà vinta sicuramente da Donald Trump (con almeno il 7% di margine).
Ancora più netta è la situazione in Arizona, dove il candidato DEM (Rep. Ruben Gallego) è dato in chiaro vantaggio (almeno il 4%) nella competizione per il seggio lasciato “open” dopo un solo mandato da Sen. Krysten Sinema, mentre nella corsa alla Casa Bianca, Donald Trump è dato avanti del 2-3%.
E’ un doppio segnale: perché sicuramente gioca la forte credibilità e il radicamento territoriale dei candidati DEM negli stati “indecisi” (o la bassa qualità di quelli GOP, plasticamente rappresentata dalla totalmente impresentabile candidata al seggio senatoriale dell’Arizona Karl Lake), ma nello stesso tempo rivela lo scarso appeal della candidata DEM alla presidenza in quegli stessi Stati.
Come finirà?
Il controllo del Senato sarà sicuramente del GOP e per i DEM il risultato migliore possibile è finire 51-49. Non è detto che ci riescano.
In ogni caso il GOP controllerà entrami i rami del Congresso.
La Corsa alla Casa Bianca.
Come abbiamo già detto la decideranno gli elettori di solo 7 Stati: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin.
In tutti gli altri Stati i sondaggi consentono di ritenere l’esito scontato.
La situazione dei Grandi Elettori dopo gli esiti degli altri 43 stati (più il District of Columbia) vede Kamala Harris avanti 226-219.
Includo in questo conteggio anche i grandi elettori del Minnesota (10), del New Hampshire (4) e del secondo distretto del Nebraska (1) (il Nebraska come il Maine ha una particolare modalità di assegnazione dei Grandi Elettori che non prevede la regola generale valida in tutti gli altri 48 Stati che assegna tutti i Grandi Elettori dello stato al candidato vincente), anche se alcuni sondaggi giudicano ancora incerto l’esito di queste competizioni.
Secondo me alla fine Kamala Harris se li aggiudicherà (se così non fosse diventerebbe quasi inutile proseguire nei ragionamenti sull’esito finale, che diventerebbe del tutto scntato).
In un precedente articolo avevo sottolineato le difficoltà che la campagna di Kamala Harris sta registrando in Michigan (15), Pennsylvania (19) e Wisconsin (10).
In tutti e tre questi stati la corsa è serratissima (il vantaggio di Kamala Harris in Michigan e Wisconsin e di Donald Trump in Pennsylvania si attesta mediamente attorno allo 0,5%).
Dire cosa accadrà è pressoché impossibile. Il punto vero è che potrebbe essere irrilevante.
Donald Trump è dato piuttosto avanti in Arizona (11) (2-3%, ma soprattutto un solo sondaggio ha dato avanti Harris ed è stato realizzato a fine settembre) e in Georgia (16) (medesimo margine ma con un sondaggio di ottobre che predice risultato leggermente favorevole a Harris).
Qui a pesare è soprattutto la questione migrazioni. Kamala Harris ha avuto deleghe specifiche su questo aspetto nei quattro anni passati e lo scontento diffuso tra gli elettori di questi Stati sugli esiti delle politiche migratorie la penalizza in un modo estremamente rilevante.
Donald Trump, alla fine, si aggiudicherà, secondo me, entrambi gli Stati portando il conteggio dei Grandi Elettori in suo favore: GOP 246 – DEM 226.
La situazione è piuttosto difficile per Kamala Harris anche in Nevada (6), nonostante la campagna di Sen. Jacky Rosen sembra prevalere sul suo avversario nella corsa per il Senato. Il tema specifico in questo Stato sono i latinos che non perdonano le posizioni storicamente assunte dalla Harris nella stagione del Black Lives Matters.
Dovesse perdere il Nevada ( i sondaggi la danno sotto di 1-2 punti percentuali con una tendenza a suo sfavore sempre più pronunciata) a Donald Trump mancherebbero solo 18 Grandi Elettori per arrivare alla Casa Bianca.
Fino a qualche settimana fa sembravano sicuri quelli della North Carolina (16), che continuano ad essere attribuiti dai sondaggi al candidato GOP, nonostante il traino della campagna di sicuro successo del candidato DEM alla carica di Governatore dello Stato, abbia un po’ eroso i suoi margini.
Io continuo a ritenere che Donald Trump vincerà in North Carolina (oltre che in Arizona e Georgia), rendendo la corsa per il Nevada assolutamente irrilevante.
Vada come vada in Nevada, infatti, vincendo Arizona (11) Georgia (16) e North Carolina (16) a Donald Trump basterebbe aggiudicarsi uno solo dei tre Stati del tradizionale “muro blù” DEM (Michigan Pennsylvania, Wisconsin) per tornare alla Casa Bianca.
Il tema che deciderà gli esiti di questa strana (e piuttosto imbarazzante da ambo i lati) campagna è quindi uno solo: Kamala Harris riuscirà a vincere simultaneamente tutti e tre questi Stati?
Secondo me è piuttosto improbabile.
Difficile conquistare il ceto operaio e il ceto medio con alle spalle una storia da “sinistra californiana”, contraria alle energie fossili, lontana dalle minoranze etniche e religiose che popolano quegli Stati (arabi, ispanici, cattolici), accondiscendente sul tema delle migrazioni.
Definire “spazzatura” gli elettori di Trump (come ha fatto Joe Biden), urlare al pericolo incombente o chiamare a raccolta il voto femminile puntando tutto sul diritto all’aborto non basterà.
Ma soprattutto peserà la sua assoluta incapacità di prendere le distanze da Joe Biden e dalle sue politiche economiche che, a torto o a ragione, sono ritenute le responsabili dell’alta inflazione e sono caratterizzate dal ricorso ad una elevata spesa pubblica.
Posso sbagliarmi (anzi vorrei) ma la corsa finirà con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
La possibilità di Kamala Harris di sovvertire l’esito della competizione è, simbolicamente, finita, quando alla domanda dell’intervistatore in diretta TV nazionale di indicare una cosa – almeno una – che se eletta avrebbe fatto diversamente dal 46mo Presidente Joe Biden ha risposto “non mi viene in mente nulla che potrebbe essere fatto diversamente”. Leale ma perdente.
Nonostante oltre 1 miliardo di dollari raccolti e investiti nella campagna (contro i 400 milioni di Trump), l’endorsement di molte star (su tutte, come in ogni campagna presidenziale DEM dal 2008, Bruce Springsteen) e l’impegno diretto dell’ultimo candidato presidente DEM che abbia davvero raccolto consensi nel Paese, il 44mo Presidente Barack Obama (e sua moglie Michelle).
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