America
L’audace colpo di Pennsylvania Avenue
Il Medio Oriente è una palude melmosa e incomprensibile per chi tira righe tra buoni e cattivi e per chi in politica estera è culturalmente figlio di Westfalia. Assad è un criminale sanguinario cresciuto alla scuola di famiglia, peggio di lui forse solo il fratello maggiore allora erede designato e morto molti anni fa ; dopo la sua scomparsa ripiegarono sul figlio minore, medico e destinato ad altro nella vita ma circondato dalla sua tribù non è stato da meno del padre. Se non ci caliamo all’interno della inumana crudeltà di un conflitto tribale con qualche supporto religioso (che è la cosa che ha fatto scattare la reazione dell’aspirante califfo sunnita Erdogan) non si capisce per quale motivo abbia deciso di usare la chimica dopo le sceneggiate sulla consegna dell’arsenale transitato per l’Italia qualche anno fa dato che l’uso di Armi di distruzione di massa è cosa che espone a isolamento e immediata condanna internazionale.
Assad sapeva che il prezzo da pagare era minimo perché Al Nusra o Isis non sono certo alternative politiche per il futuro siriano. Iraniani e Russi non potevano non sapere perché armare con ordigni chimici un aereo non è così semplice e immediato ma evidentemente hanno calcolato che i danni collaterali erano sopportabili rispetto al risultato. Insomma, il gioco valeva la candela e così fu.
La risposta americana è stata risibile e, a dispetto del comunicato, per nulla commisurata al crimine commesso: se uno usa il chimico è un criminale di guerra e va eliminato. Invece un centinaio di milioni di dollari in missili hanno spianato una manciata di Mig e la necessità di evitare una escalation internazionale ha fatto in modo che i russi li lasciassero passare senza intervenire, come pure lasciano passare gli F15 israeliani quando vanno a regolare i conti con gli Hezbollah sui cieli di Damasco. I sistemi antiaerei e antimissile S300 e S400 russi garantirebbero una grande area A2/AD sulla Siria eppure rimangono sempre inattivi.
Il presidente Trump ha fatto ciò che Obama non fece perché è con le spalle al muro sul Russiagate. Il generale Flynn dopo il suo siluramento per i rapporti con la ambasciata russa ha chiesto a FBI la immunità per evitare una sicura incriminazione e se la ottiene per la Casa Bianca sono guai serissimi come lo sono le dimissioni di Devin Nunes dalla presidenza della commissione di inchiesta della Camera dei Rappresentanti. Sin dall’insediamento, se non da prima, la messa sotto processo della rete di rapporti tra l’entourage di Trump e i Russi provoca quotidiani terremoti nello studio ovale molto più gravi di quanto si percepisca in Europa. Fare la faccia dura in Siria comportava inevitabilmente un peggioramento dei rapporti con Putin ma anche qui il gioco valeva la candela: a poco prezzo e con poche conseguenze una manciata di missili spiegano al disorientato elettorato americano che Trump è sempre un commander in chief contro il Cremlino.
Putin paga un danno di immagine perché per la prima volta mostra la debolezza e fallimento della sua politica mediorientale: aveva detto di aver risolto tutto, come Bush sul ponte della portaerei, ma in Medio Oriente nulla finisce e tutto si impaluda. La settimana scorsa abbiamo rivisto comparire gli Omon (il corpo di polizia del ministero degli interni dei bei tempi sovietici) sulla Piazza Rossa, non un gran segnale a un anno dalle elezioni; a qualsiasi autocrate in un momento di debolezza interna un nemico esterno è utilissimo e rialzare il tono del confronto con gli americani è utile per il consenso interno e per spiegare agli elettori perchè le sanzioni occidentali si inaspriranno (come vuole il Congresso di Washington a dispetto del Presidente).
La Libera Stampa ci mette del suo: sulla costa Est i giornaloni non vedevano l’ora di migliorare i rapporti con il 1600 di Pennsylvania Avenue e “apprezzano” il cambio di rotta e il siluramento del consigliere Bannon, le riviste più avvedute rimangono cautissime e sottolineano che in realtà nulla è cambiato ma dicendo il vero finiscono per essere dichiarate ancora affette da clintonyte.
In primo piano rimane lui, il presidente: imprevisto e imprevedibile, l’amministrazione dilaniata e a ranghi incompleti, battuto in Congresso sull’odiato Obamacare, contrastato dai giudici sulla immigrazione, sotto tiro FBI per il Russiagate e con la più bassa popolarità nella storia presidenziale. L’uomo non è sciocco, non ha davanti un criminale di provincia come Assad ma potenze nucleari nemiche come Nord Corea e Iran, una in mano alla Cina e l’altra strettamente legata a Mosca.
Dio salvi l’America (e si ricordi anche di noi).
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