America

La vittoria di Biden, l’eredità di Obama e il senso di questi quattro anni

6 Novembre 2020

Ormai i dati che emergono da queste ultime elezioni presidenziali americane sono chiari: Joe Biden è il vincitore e sarà il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Non si tratta di capire se Biden vincerà o meno, ma se la sua vittoria sarà netta o risicata. Perché Biden è già il candidato alla presidenza ad aver raccolto più voti nella storia degli Stati Uniti con oltre 70 milioni di voti e, se dovesse vincere anche in Nevada, Georgia e Arizona oltre che in Pennsylvania, la sua sarebbe innegabilmente una netta vittoria.

Per quanto inconcepibile in una democrazia, Trump sta facendo quello che aveva promesso di fare: non riconoscere il risultato delle elezioni e tentare di gettare il Paese in una grave crisi istituzionale, col rischio di portare la tensione sociale a un pericoloso punto di non ritorno. Il suo discorso di questa notte è stato delirante ed eversivo, con le sue accuse assolutamente infondate di brogli e corruzione e persino molti repubblicani hanno mostrato di non essere disposti a seguirlo su questa linea.

Colpisce la compostezza e il senso delle istituzioni con cui Biden sta affrontando queste ore. La pazienza con cui sta attendendo il momento opportuno per rivendicare questa vittoria e la misura delle parole che ha pronunciato nel corso della sua ultima conferenza stampa nascono dalla consapevolezza che oggi più che mai la difesa della democrazia passa dal rispetto delle sue istituzioni e delle sue liturgie. In attesa che la coltre di fumo gettata da Trump su queste elezioni si dissolva, vale la pena riavvolgere il nastro e tornare alla notte di quanto anni fa quando tutto questo è iniziato. Non è escluso che possa aiutarci a capire meglio quello a cui stiamo assistendo.

La mattina del 9 novembre del 2016, all’indomani delle elezioni presidenziali americane, la notizia della vittoria di Donald Trump fu un amaro risveglio. Dopo otto anni di presidenza di Barack Obama, sarebbe arrivato alla Casa Bianca un suprematista bianco, senza alcuna esperienza politica, con rapporti ambigui con il Cremlino, dal torbido passato imprenditoriale e incline alla menzogna e all’autoritarismo. Per molti la tentazione di lasciarsi prendere dallo sconforto e di non accettare il risultato di quelle elezioni era forte.

Ricordo che alcuni giorni dopo un’amica mi scrisse per condividere lo sconforto e chiedermi quello che in molti ci stavamo chiedendo: “E ora?”. L’unica cosa che seppi dirle è che non abbiamo alternativa all’avere fiducia nella democrazia e nel fatto che, se ciascuno di noi è disposto a fare la propria parte, cambiare le cose in meglio è sempre possibile. Quell’elezione non era un unicuum, ma si inseriva perfettamente in quello che a me sembrava e sembra ancora oggi  lo spirito del nostro tempo, ovvero la crisi delle democrazie liberali.

Trovai perfette le parole che Obama usò per spiegare alle sue figlie il risultato di quelle elezioni e gli episodi di violenza che ne seguirono: “Le persone sono complicate. Le società e le culture sono molto complicate. Non si tratta di matematica; si tratta di biologia e di chimica. Si tratta di organismi viventi, ed è una gran confusione. Il vostro lavoro come cittadine ed esseri umani è quello di affermare, risollevare e combattere perché le persone possano essere rispettate, trattate con gentilezza e capite”.

Questo disse Obama alle figlie Malia e Sasha, che al tempo avevano rispettivamente 18 anni e 15 anni. “Voi dovrete prevedere che in certi momenti ci saranno fiammate di fanatismo con le quali vi dovrete confrontare, o il fanatismo potrebbe essere dentro di voi e in quel caso dovrete sconfiggerlo. Non si arresterà… e voi non dovrete arrendervi ad esso. Non cominciate a preoccuparvi dell’apocalisse. Semplicemente rimboccatevi le maniche e capite dove lavorare perché ci sia un progresso”.

In un’intervista al New Yorker Obama ribadì: “Non credo nell’apocalisse, fino a che questa non giunga. Nulla è la fine del mondo, eccetto la fine del mondo stessa”. Bene. Quella notte Trump vinse le elezioni, ma l’apocalisse non arrivò. Gli americani si sono rimboccati le maniche, si sono riversati alle urne come non avevano mai fatto dalle elezioni del 1908 e oggi, dopo quattro difficili anni, possiamo finalmente riprendere il cammino che quella notte è stato interrotto.

Certo, il trumpismo non svanirà con l’eventuale uscita di scena di Trump. Tra i lasciti tossici della sua presidenza c’è sicuramente quello di aver esasperato i conflitti e le divisioni e di aver reso normali e accettabili comportamenti che non dovrebbero essere normalizzati  e accettati. Tuttavia, la vittoria di Joe Biden da agli Stati Uniti hanno l’opportunità di attenuare la polarizzazione del dibattito pubblico e di ricondurre il confronto politico entro una dimensione più salutare. Inoltre, con Joe Biden hanno l’opportunità di riprendere il percorso di riforme intrapreso da Obama e di sottrarsi allo scontro tra un populismo di destra e una sua versione di segno opposto che niente ha a che fare con la tradizione liberal democratica statunitense.

Questi quattro anni e il loro epilogo dovrebbero insegnarci che la democrazia non può piacerci quando soddisfa le nostre aspettative e dispiacerci quando invece le disattende, che le nostre istituzioni repubblicane e le regole che ci siamo dati nel corso dei secoli sono il fondamento delle nostre democrazie liberali, che è nostro dovere prendercene cura e anteporle a qualsiasi interesse di parte, che occorre credere nella possibilità di cambiare le cose e impegnarci perchè il cambiamento accada.

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