
America
La prossima guerra di Trump è quella contro la conoscenza
La scure trumpiana per fermare il mondo dopo i dazi e le bocciature di Wall Street e delle borse mondiali si è scaricata sulla virtute e canoscenza di dantesca memoria, scatenando le reazioni diffuse delle più grandi riviste globali della Scienza come Nature, Lancet e Science
La scure trumpiana per fermare il mondo dopo i dazi e le bocciature di Wall Street e delle borse mondiali si è scaricata sulla virtute e canoscenza di dantesca memoria scatenando le reazioni diffuse delle più grandi riviste globali della Scienza di base e applicata come Nature, Lancet e Science. Come? Semplicemente imponendo “occhiali ideologici” di restrizione dei finanziamenti federali (e non solo) verso la società totalitaria e oscurantista del George Orwell di 1984 (scritto nel 1949). Ossia il “il divieto di studi che menzionano parole e concetti relativi a sesso, genere, razza, disabilità e altre caratteristiche protette” e che fa dire ad un infuocato editoriale di Nature che siamo di fronte ad un “assalto senza precedenti” alla libertà della scienza che è alla base della nostra Civiltà e delle nostre Democrazie Liberali e che Lancet definisce senza circonlocuzioni “caos americano”. Siamo alla censura autoritaria.
Una mannaia centrata secondo American Association for the Advancement of Science in un editoriale su Science in base a quella che Trump chiama “ideologia di genere woke” che lascia migliaia di ricercatori e scienziati per strada (con le famiglie) compresi i loro progetti di ricerca applicata/di base all’insegna della bandiera di un insensato negazionismo climatico, e anti-gender, promuovendo uno spirito e un clima diffusamente anti-scientifico per levitazione di oscure “elegie mistiche di preghiera” sempre a favore di telecamere ca va sans dire. Una primazia tecnologica senza scienza e per quale competizione con la Cina che invece corre? L’America può permettersi tutto questo? No, perché il progresso degli USA, la sua stessa esistenza come quello dell’Umanità si fonda su questa forza della scienza, di ricerche e studi di base e applicati da oltre 250 anni e che ne hanno fatto la potenza economica, tecnologica e liberal-democratica che è stata creata dalla fratricida American War of Indipendence come una Revolutionary War per la libertà di pensiero, contro schiavismi e oscurantismi clanici.
Producendo quel virtuoso melting pot di culture scientifiche e libertarie differenziate che han trovato spesso unità, potenziamento e convergenza proprio nelle grandi praterie del farwest delle diversità USA. Poi è toccato anche alle categorie della sostenibilità, dell’inclusione e dunque della diversity che hanno alimentato negli ultimi 30 anni la crescita degli investimenti ESG in molteplici campi industriali, manifatturieri e dei servizi spingendo gli stessi processi diffusi di digitalizzazione e la stessa sconfitta del Covid19 con una rincorsa velocissima ai vaccini a RnMA che hanno salvato la vita di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. Assistiamo cioè alla sollecitazione normativa del taglio netto a tutte le social corporate policy rappresentate dalla nota sigla Dei (diversity, equity, inclusion) denunciata come “illegale”. Dunque introducendo anche sanzioni per tutte le Corporation che non si allineeranno e che tuttavia spacca il Corporate World tra fedeli (per es. Meta, Disney, Walmart, Amazon, Goldman Sachs, Citi) e infedeli (Apple, JP Morgan, Costco) e con molte soluzioni intermedie e creative (ben descritto da IlSole24Ore).
Ma certo con tagli miliardari agli investimenti già realizzati o in via di realizzazione sul tavolo di centinaia di migliaia di imprese che hanno investito sulla diversity. Le borse non stanno reagendo bene e in particolare Wall Street e “vota” crollando. Anche perché spingerà a cancellare traiettorie di innovazione produttiva ed energetica guidate dalla decarbonizzazione e da scelte di consumo più eticamente responsabili e green. Spazzando via in un colpo solo quello stakeholder capitalism che aveva allargato lo sguardo oltre gli interessi dei soli shareholder e che ridefiniva il profitto come uno strumento di crescita e non come un fine tantomeno da massimizzare e che ha dominato la business community negli ultimi 30 anni e dilagando in tutte le 1000 Business School americane che ora saranno costrette a fare retromarcia o a repentine frenate e tagli di progetti e docenti. Gli impatti si sentono tuttavia anche in Europa che “reagisce” esplorando regole meno rigide sulla sostenibilità come già peraltro si attendeva da tempo, ma soprattutto semplificando e snellendo le procedure sui report dei bilanci ambientali e sociali delle imprese e estendendo le tempistiche di verifica e valutazione allungando con realismo il “brodo di tre anni” guardando all’automotive dopo il 2035 e forse alla neutralità tecnologica.
Infatti, in Europa non si potrà rinunciare a questa traiettoria strategica di lungo periodo del Green Deal per contrastare il climate change e stimolare linee di innovazione lungo le strade della decarbonizzazione in linea con l’Agenda di Parigi 2015 e salendo sul treno in corsa del recente Fit55. La controrivoluzione trumpiana è pericolosamente avviata a riportare indietro USA e purtroppo trascinandosi pezzi di mondo occidentale di oltre 60 anni con vecchie politiche autarchiche e barriere tariffarie visto che con alcuni ordini esecutivi ha abolito anche la legislazione del 1965 contro la discriminazione sul lavoro di imprese con contratti federali. Che aprirà a catene di controversie giudiziarie sul nervo scoperto del razzismo, dell’inclusione di gender e dunque – verrebbe da dire – puntando alla ri-esplosione diffusa dei conflitti sociali dividendo un paese già dilaniato e contraendo produttività ed efficienza. E’ questo l’obiettivo, tornare al conflitto rinunciando al secolo della collaborazione? Configurando di fatto una lotta alla “discriminazione rovesciata e antitetica” alla meritocrazia.
Ma ciò che di fatto si realizzerà sarà proprio una lotta alla “meritocrazia” escludendo dal recruitment delle persone tutti o tanti candidati provenienti da minoranze. Arrivando all’estremismo di Mark Zuckerberg di Meta che ha “bruciato il Dei” scaricando le schegge con inaudita violenza contro imprese cosiddette “effeminate e castrate”, dopo che per 20 anni si è venduto come paladino dei diritti umani e sociali contro tutte le discriminazioni, seguito in questo da Amazon e Google che hanno cancellato tutti i riferimenti alle pratiche Dei con una inversione a U di 360 gradi incredibilmente insensata, incoerente e controproducente e che faranno scattare reazioni degli utenti di mezzo mondo. Che dovrebbe spingere l’Europa ad investire rapidamente in imprese “parallele” (concorrenti di Google, Amazon, Facebook e così per i satelliti) ma europee come peraltro fatto “intelligentemente” dalla Cina. Oltre all’allineamento servile delle Big Tech, hanno “seguito” inginocchiandosi in questa direzione non solo il più grande gruppo commerciale USA come Wallmart, ma anche Disney o PepsiCo in ossequio al nuovo monarca assoluto.
I Fondi d’investimento fortunatamente mostrano più cautela e ragionevolezza sugli sviluppi di questa “messa al bando” della sostenibilità, dell’inclusione e diversity (se escludiamo BlackRock altro paladino degli investimenti ESG e che ora fa marcia indietro) e dunque sul ruolo delle donne nei CdA (fondi ETF) a valorizzazione della diversity come fonte di creatività per attrarre investimenti e talenti. Anche perché i Fondi sono più aperti ad azionariati diffusi e plurali e operano in mercati multinazionali compresa l’Europa in particolare. Ma che ne sarà delle B-Corp cresciute negli ultimi 20 anni ? Tuttavia il quadro normativo americano darà ai tribunali materiale su cui lavorare per resistere a queste discriminazioni sui luoghi di lavoro compatibili con la CSR e gli investimenti ESG. Cosi come la normativa europea e in particolare gli aggiornamenti con la direttiva 2022/2381 recepita anche dall’Italia o la 2023/970 che mira a promuovere la parità di remunerazione tra uomo e donna.
E a cui dovranno adeguarsi anche le multinazionali USA che operano nell’UE per esempio con l’obiettivo della direttiva 28/12/2024 che stabilisce che il 40% dei posti di Amministratore senza incarichi esecutivi e il 33% del totale dei posti di Amministratore sia occupato dal sesso sotto-rappresentato, cioè le donne. Tutto questo per segnalare che la ratio di queste norme anti-discriminazione e a favore della diversity non è tanto (o non solo) di tipo etico ma di efficienza ed efficacia delle organizzazioni d’impresa facendo recruitment del personale senza alcuna discriminazione verso minoranze e guardando solamente al merito e alla varietà come fonte di produttività, creatività e intelligenza collettiva. Tutto questo è segnalato da molteplici ricerche sulle performance differenziali tra imprese inclusive e non in tutto il mondo e svolte da prestigiose università americane come Harvard Business School e Sloan Management School da oltre 30 anni. Sottolineando le superiori performance di medio-lungo-periodo delle prime sulle seconde guardando al potenziale di diversity e di sostenibilità sia nelle quotate che nelle non quotate e che trovano ampie conferme anche in Europa. Anche se a Bruxelles si va verso una semplificazione delle norme di due diligence allungando i tempi di valutazione da 1 a 5 anni nell’ambito del Green Deal, in particolare con la direttiva Csddd – Corporate Social due Diligence Directive (EU-2024/1760), comunque a sostegno e a difesa dei diritti dei lavoratori e della sostenibilità nelle filiere globali dal tessile all’alimentare al meccanico all’IT guardando alle aree più carenti come segnala l’OCSE in Asia e in quella Orientale per l’elettronica e in America Latina per alimenti, carni e bevande. Non la scure trumpiana ma una semplificazione burocratica allungando i tempi di verifica senza spegnere nessuna luce ma “guidando” ordinatamente le greggi verso un capitalismo democratico e inclusivo, e con leadership umanistiche, più efficienti, creative e anche felici.
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