America

La lunga marcia di Trump: crisi della democrazia e deriva oligarchica, 1976-2016

28 Ottobre 2016

Com’è nato il fenomeno Donald Trump? com’è stato possibile che un personaggio eccentrico, sbruffone, volgare e incompetente come Trump arrivasse a un passo dalla Casa Bianca? Dobbiamo cercare la risposta in un lungo processo storico di crisi della politica, iniziato nel 1976 e di cui ancora non vediamo la fine. Le radici della xenofobia in Europa, come di quella di Trump, stanno nella crisi della politica democratica tenacemente perseguita per quarant’anni dalle élite che ci governano. Gorino non è poi così lontana dal Texas e dal suo muro contro i messicani.

Oggi siamo in un’era dove “il pagamento dei debiti con l’estero e il ritorno a un sistema di cambi stabile sono riconosciuti come il fondamento di una politica razionale; e non c’è sofferenza privata né restrizione di sovranità che possa valere un sacrificio per il ripristino dell’integrità monetaria. Le privatizzazioni, la disoccupazione causata dalla deflazione, la destituzione dei pubblici funzionari cacciati senza timore; perfino la riduzione delle libertà costituzionali e dei diritti individuali sembrano ormai essere considerati come un giusto prezzo da pagare per rispettare i parametri di pareggio di bilancio ed equilibrio monetario, cardini del liberismo economico”. Frasi che suonano decisamente attuali, ma che vennero scritte da Karl Polanyi nel 1944 e che si riferivano alle dottrine economiche degli anni Venti, prima della crisi del 1929.

Come siamo arrivati a questo punto? Perché questo balzo all’indietro per tornare al feticismo del mercato?

Tutto inizia negli anni Settanta, quando le élites americane e britanniche raddoppiarono gli sforzi per erodere le basi del welfare state democratico. Oggi, in tutto l’occidente, i diritti di proprietà delle élite sono difesi e le elezioni si tengono regolarmente, ma i cittadini comuni non hanno realmente voce in capitolo nelle decisioni importanti come quelle che riguardano il lavoro, le pensioni, la sanità, l’edilizia pubblica.

Tuttavia, questo tipo di regime oligarchico e autoritario non sembra essere capace di garantire assetti politici stabili. Anzi, sembra vero l’opposto: come sottolinea il sociologo tedesco Wolfgang Streeck “un capitalismo disordinato è tale non solo per se stesso ma anche per i suoi oppositori, privati della possibilità di sconfiggerlo o di cambiarlo”. È questo che produce quelle “macerie e desolazione” che vanno da Flint (Michigan) ad Aleppo, Siria. Da quando le forze che storicamente hanno tenuto a freno il capitalismo sono state eliminate o indebolite, non è chiaro quale futuro sia in vista per la nostra civiltà.

Non c’è quindi da sorprendersi se nelle ultime elezioni politiche nazionali dei ventotto stati dell’Unione Europea, ben venti governi uscenti siano stati sconfitti e nuovi partiti abbiano ottenuto successi clamorosi. Consolidati equilibri politici sono saltati in aria, come in Finlandia dove nel 2015 il Finns Party è diventato il secondo partito ed è entrato nella coalizione di governo. O come in Italia, dove il Movimento 5 Stelle, ha ottenuto il 25% alle elezioni del 2013, salendo da zero a un quarto dei voti validi in pochissimi anni. Lo stesso è accaduto in Spagna, dove Podemos è cresciuto da zero al 20,7% dei voti nel 2015.

La reazione dei partiti mainstream si è concretizzata nella costruzione di Grandi Coalizioni  o in governi di minoranza (ora al governo in 11 paesi UE su 28). Un’ulteriore conseguenza è il rafforzamento dei governi a scapito dei parlamenti, com’è chiaramente visibile nella riforma costituzionale su cui gli italiani voteranno il 4 dicembre.

Molte delle élite europee sono sinceramente legate ai valori fondanti dell’Unione ma allo stesso tempo sembrano incapaci di capire che la sofferenza imposta ai cittadini in questi anni può avere una sola conseguenza: la rinascita di regimi politici fondati sulla promessa di tornare a regolare l’economia e la società, dopo quarant’anni di dominio di oscuri e tecnocratici organismi sovranazionali. Purtroppo, data la debolezza della sinistra attuale, la fine del ciclo neoliberista sembra avviarsi a produrre qualche forma di fascismo del ventunesimo secolo, da Trump negli Stati Uniti a Marine Le Pen in Francia e ai governi ungherese o polacco.

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