America

La guerra dei big data: Bernie Sanders vs Hillary Clinton

19 Dicembre 2015

Nel Partito Democratico volano i coltelli. E di brutto anche: per una questione di dati.

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A partire dal 2008 le campagne elettorali statunitensi hanno sempre più fatto ricorso all’utilizzo di big data, finalizzati all’ottimizzazione del marketing politico. Una risorsa importante, cui frequentemente attingono tanto i democratici (soprattutto lo stesso Obama) quanto i repubblicani (capitanati in questo settore dai ricchissimi fratelli Koch, che attraverso un apposito programma, i360, stanno seriamente tentando di riportare l’Elefantino alla Casa Bianca). Tanto che – qualche analista – inizia già a parlare di una crescente (e pericolosa) dipendenza della politica americana rispetto all’universo dei big data.

Ne sanno qualcosa oggi proprio i democratici. Che si stanno spaccando in una vera e propria guerra civile. In sostanza, Hillary Clinton ha accusato il rivale socialista, Bernie Sanders, di averle letteralmente sottratto dati elettorali di sua proprietà, approfittando di un guasto temporaneo al sistema tecnico che gestisce i database dell’Asinello. Il National Democratic Committee ha conseguentemente sospeso ieri lo staff di Sanders dall’accesso ai database, suscitando così la reazione del senatore del Vermont: il quale ha fondamentalmente accusato l’establishment del partito di remargli contro, favorendo proditoriamente la campagna di Hillary.

Stamane – dopo ore di negoziazione – il National Democratic Committee ha ripristinato la possibilità di accesso al database per Sanders, a condizione – pare – che accetti un’ispezione dei dati attualmente in suo possesso da parte di una società terza. E intanto gli uffici stampa dei due staff rivali se le danno di santa ragione: con la Clinton che protesta e Bernie che si lagna, dichiarandosi un perseguitato.

Per quanto il caso sembri momentaneamente rientrato e l’Asinello tenti di mostrare compattezza, la questione evidenzia (ancora una volta) un problema strutturale in seno al partito: una guerra intestina tra l’establishment e l’ala radicale. Un conflitto che di tanto in tanto emerge in maniera più o meno plateale, assumendo le più disparate forme: ora, quelle della dialettica politica; ora, quelle degli sgarbi e delle ripicche.

Hillary accusa il rivale di slealtà. Dal canto suo, Sanders, che ha sempre cercato di impostare la sua strategia elettorale nobilmente sulle questioni di principio (addirittura in passato si rifiutò di attaccare l’ex first lady sul caso dell’Emailgate), non ci sta a farsi passare per un ladro e va al contrattacco. Ribadendo la propria figura di outsider, nemico delle rendite di potere. Un piano per rafforzare la sua posizione di attuale predominanza in New Hampshire (dove conduce con il 48% dei consensi) e tentare la scalata in Iowa (al momento saldamente in mano all’ex segretario di Stato).

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In un clima opaco di sospetti reciproci, l’Asinello si prepara al voto. E se Hillary sembra già da oggi destinata a vincere la nomination, bisognerà vedere se l’intero partito vorrà compattarsi dietro di lei. Evitando di farla arrivare alla general election nella peggiore delle condizioni: quella di un’anatra zoppa.

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