America
La Cancelliera e il Presidente. Berlino ritorna sulla scena internazionale?
Lo scontro politico scatenato dal coronavirus ha accentuato e svelato il ritorno di Pechino nella scena internazionale. La strategia “cresci nell’ombra, coltiva l’oscurità” promossa da Deng Xiaoping è stata inevitabilmente archiviata dai progressi cinesi in termini economici e sociali. Sorprendono di più le mosse di Berlino. Angela Merkel, rinvigorita dalla buona gestione della crisi sanitaria, pare intenzionata a far riemergere la Germania dal ruolo di secondo piano in cui fu imbrigliata con la creazione della NATO. La potenza economica europea, finora nano geopolitico, sembra muoversi.
Il 29 maggio, il portavoce della Cancelliera, Steffen Seibert, ha presentato il sito web www.eu2020.de dedicato al prossimo semestre di presidenza del consiglio dell’Unione Europea a guida tedesca. Al momento, la pagina contiene alcune prime informazioni, il logo formato da un nastro di Möbius, e lo slogan traducibile in “Insieme. Rendere l’Europa di nuovo grande”. Non un semplice scimmiottamento di echi che arrivano dall’altra parte dell’Atlantico, ma un vero colpo in faccia a Donald Trump.
Angela Merkel non ha mai nascosto la propria insofferenza per l’attuale inquilino della Casa Bianca, il quale ha sempre mirato a stabilire un dialogo bilaterale con ciascuno stato membro, scavalcando l’UE. La cancelliera si è spesso rivelata un’europeista debole in termini valoriali, ma ha sempre difeso il mercato comune. Di conseguenza, ha più volte ricordato al Presidente che gli accordi commerciali si discutono a Bruxelles. A tali risentimenti, non era mai stato dato seguito. Oggi, la Merkel sceglie di non partecipare a un frettoloso quanto rischioso G7 a Camp David e si ostina a non seguire gli Stati Uniti nello scontro con la Cina.
Inoltre, la cancelliera sembra pronta a sviluppare il rapporto con la Francia anche su inesplorati piani politici e valoriali, superando la mera comunanza di interessi tra i due paesi che si spartiscono il potere nell’area euro. La scelta è resa probabilmente obbligata dall’assenza di autorevoli interpreti del liberismo economico, dopo l’addio di Londra e la dissoluzione della nuova lega anseatica. La lega si è infatti rivelata un debole amalgama eterogeneo di paesi del nord, le cui divergenze sono emerse con la crisi sanitaria. Le sole Amsterdam, Vienna, Stoccolma e Copenaghen non possono sostituire Parigi.
Il Recovery fund appare frutto di questa consapevolezza. Malgrado i problemi e le disillusioni, potrebbe rappresentare il più importante programma mai lanciato da Bruxelles. L’aiuto concreto ai paesi in difficoltà emergerebbe da un rinnovato senso di responsabilità istituzionale. Solo l’ipotesi di finanziarlo tassando le multinazionali nel settore digitale, da Amazon a Facebook passando per Google, contribuisce a far infuriare la Casa Bianca.
La Germania ha passato gran parte della sua storia ad autoaccusarsi dei crimini passati e a concentrarsi sul proprio ombelico anziché guidare le relazioni internazionali. Un paese additato come egemone riluttante, incapace di assumersi le responsabilità derivate dalla propria potenza economica, potrebbe ora mettere paletti all’avventurismo di Washington. Le indecisioni e le giravolte su problemi europei e internazionali, come la pasticciata astensione all’intervento libico nel 2011, potrebbero fare spazio a una Germania adulta, capace di trascinare il continente verso l’autonomia dall’altra sponda dell’Atlantico.
Fattori positivi, ma le uscite della Cancelliera rischiano di essere dettate dalla sola avversione per l’attuale inquilino della Casa Bianca, quando gli stessi interessi strategici statunitensi non convergono con quegli europei. Donald Trump ha ingigantito le divergenze con una retorica martellante, tra le invettive contro gli alleati e la paranoia anticinese. Modi e termini mal sopportati sia dalla Cancelliera che da numerosi tedeschi. Ma, forse, il problema di fondo rimane un altro. Gli alleati europei, tollereranno una guida tedesca anche nel campo delle relazioni internazionali?
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