America
Kamala Harris, “siamo in lotta per l’anima della nazione”
”Andiamo a vincere, Kamala Harris”, è la didascalia di una foto che ritrae Joe Biden e la senatrice della California su Twitter, la notizia che tutti aspettavano è infatti arrivata: è lei lavicepresidente per i democratici americani.
Conosciamo già molto di Harris, dal momento che ha partecipato alle primarie democratiche per la presidenza. Aveva scelto gennaio dello scorso anno per annunciare la sua decisione di correre per la Casa Bianca e aveva scelto quel periodo non a caso. Ogni terzo lunedì del primo mese dell’anno, infatti, si celebra il Martin Luther King’s Day e nel gennaio del 1972 Shirley Chisholm fu la prima donna a candidarsi per le primarie presidenziali, dopo essere diventata nel 1968 la prima donna afroamericana ad essere eletta nel Congresso Usa. Harris in effetti sembra essere destinata a presentarsi come colei che rompe il tetto di cristallo. È stata Procuratore distrettuale di San Francisco, prima donna, prima persona di origini asiatiche e prima persona di colore a ricoprire quell’incarico. Il padre era infatti arrivato dalla Giamaica per studiare economia e la madre dall’India per diventare ricercatrice contro il cancro. Poi è stata procuratore generale della California, quindi senatrice. È la terza donna ad accettare di correre come vicepresidente, prima di lei ci sono state solo la democratica Geraldine Ferraro e la repubblicana Sarah Palin ma è la prima donna di colore in assoluto, a conferma del fatto che Harris pare destinata ad essere una sorta di apripista. Se i democratici vincessero le presidenziali, sarebbe infatti la prima donna alla Casa Bianca, sebbene come vicepresidente.
La scelta del suo nome è il frutto di diverse valutazioni, CNN ne riporta alcune. Innanzitutto le primarie democratiche hanno fatto conoscere Harris, quindi vanta una invidiabile esperienza politica, ha un’età che rappresenta la nuova generazione di leader, viene dalla California, ovvero da uno Stato importante sia in termini di voti che di potenziali donatori. Poi, naturalmente, non bisogna trascurare il fattore etnico e quindi le sue origini. L’elettorato di colore ha preferito Biden durante le primarie e la scelta di Harris è coerente con questo sostegno e rappresenta un modo per assicurarsi il loro voto. Secondo The Atlantic hanno pesato anche la competenza e il rigore dimostrati durante l’audizione in Senato di Brett Kavanaugh e Jeff Sessions. C’è poi da considerare il legame tra Harris e Beau Biden, defunto e amatissimo figlio dell’ex vicepresidente a cui lui stesso ha fatto riferimento. “Ai tempi in cui Kamala era procuratore generale, lavorava a stretto contatto con Beau. Li ho visti sfidare le grandi banche, sostenere i lavoratori e proteggere donne e bambini dagli abusi. Allora ero orgoglioso e ora sono orgoglioso di averla come mia partner in questa campagna”, ha scritto infatti su Twitter. C’è poi da considerare il particolare contesto in cui si trovano gli Usa dove, dopo la brutale morte di George Floyd, è di nuovo finito sotto i riflettori il movimento black lives matter. Sotto questo aspetto, la scelta di Harris non era affatto scontata. In generale queste rivendicazioni hanno spinto verso la decisione di puntare su una donna di colore ma Harris era considerata da molti troppo remissiva nei confronti della polizia quando era procuratore. Tuttavia, come spiega ancora The Atlantic, Harris ha modificato il proprio approccio in maniera cauta e graduale nel corso degli anni anche perché il Paese era profondamente diverso da come è oggi quando vestiva i panni di procuratore e l’opinione pubblica aveva posizioni diverse da quelle attuali, tra gli stessi democratici. Non si può negare invece il sostegno alle minoranze da parte della senatrice californiana, come dimostra lo scambio avuto durante un dibattito per le primarie a Miami, proprio con Joe Biden. Quest’ultimo infatti, durante la campagna delle primarie, aveva ricordato due senatori James Eastland ed Herman Talmadge, pochi giorni dopo, durante il confronto tra i candidati, Kamala Harris, gli aveva detto: «Non credo che tu sia razzista e concordo con te sull’importanza di trovare un terreno comune ma credo anche, ed è (un fatto) personale, che sia stato doloroso sentirti parlare di due senatori americani che hanno costruito la loro reputazione e la loro carriera sulla segregazione razziale in questo Paese. Non solo, tu hai anche lavorato con loro per opporti al busing. C’era una piccola ragazza in California che faceva parte della seconda classe per integrare la scuola pubblica e che usava quel bus per andare a scuola ogni giorno e quella piccola ragazza ero io». Nel 1954, infatti, una sentenza della Corte Suprema aveva dichiarato la segregazione scolastica incostituzionale e aveva fissato l’inizio diun processo di integrazione. Una delle proposte fu il “busing”, ovvero il trasporto in bus con cui gli studenti di colore potevano raggiungere le scuole frequentate dai bianchi e viceversa. Biden aveva sostenuto tale misura ma nel 1973 e nel 1974 aveva votato contro, a causa della pressione dei propri elettori. Poi l’anno seguente, Joe Biden si era schierato a favore di un emendamento, poi non passato, presentato dal senatore Jesse Helms che voleva impedire al Dipartimento di salute, istruzione e welfare di raccogliere dati sulla razza di studenti o insegnanti. Secondo molti la risposta di Biden alla dichiarazione di Harris durante il dibattito era però stata debole mentre sui social diventava virale la foto della senatrice californiana da piccola con didascalia «Quella piccola ragazza ero io». Che Biden fosse a favore della totale integrazione non era in discussione, lo dimostra la sua carriere politica e l’aver ricoperto il ruolo di vicepresidente con Obama, ma ora la scelta di Harris pone un punto definitivo alla questione.
Non sarà facile vincere le elezioni. Come farà a conquistare la fiducia dei repubblicani moderati delusi da Trump? Come voteranno i bianchi o la classe media? Peserà di più la polarizzazione tra bianchi e neri o il malcontento per la crisi sanitaria ed economica che attraversa gli Stati Uniti? Insomma la partita è tutt’altro che chiusa. Con la scelta di Harris è stato rotto l’ennesimo tetto di cristallo ma c’è ancora una montagna da scalare per i democratici. Alcuni tratti possono essere più agevoli, altri più ripidi ma nulla è ancora deciso. Harris e Biden ne sono consapevoli. Se eletti, erediteremo molteplici crisi, una nazione divisa e un mondo allo sbando. Non avremo un minuto da perdere,ha scritto su Twitter l’ex vicepresidente. “Siamo in battaglia per l’anima di questa nazione. Ma insieme, è una battaglia che possiamo vincere”, è invece uno dei messaggi di Harris, che nella sua vita è stata la prima tante volte e non intende fermarsi adesso.
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