America

Il supplizio di Sant’Assange

11 Aprile 2019

«Julian Assange is a hero. America owes this man one thing – freedom» (David Duke, ex Gran Maestro del Ku Klux Klan, 2016)

È un mondo davvero bizzarro quello in cui un presidente centrista che di nome fa Lenìn consegna alla giustizia penale un latitante – a suo tempo accusato di stupro – guadagnandosi così l’epiteto di “traditore” da parte delle Vere Sinistre di tutto il mondo. Evitato un processo in Svezia – ma il caso potrebbe essere riaperto – Assange è stato arrestato per aver violato la libertà su cauzione in UK e quasi certamente lo aspetta un’estradizione in USA per aver diffuso segreti di Stato. Gli attivisti di mezzo mondo gridano ovviamente alla repressione e vedono nell’arresto del loro beniamino un’azione politica più che giudiziaria, una ritorsione di CIA, NSA e complesso industrial-militare, colpiti al cuore dal paladino della Trasparenza. Strana trasparenza, una trasparenza opaca, verrebbe da dire con un ossimoro, quella che prevede “leak” accuratamente mirati a danneggiare una parte dell’establishment per favorirne un’altra, a colpire un potere statale per avvantaggiarne un altro, sulla base forse di un atteggiamento tattico “campista” – sempre assumendo che Assange sappia quello che fa e non sia semplicemente un povero disturbato assurto al ruolo di martire. Chissà.

Rimane il fatto che durante il suo asilo/esilio londinese, prima che l’ambasciata ecuadoregna gli togliesse la connessione (povera stella!), Assange ha impiegato gran parte delle sue energie a distruggere l’immagine di Hillary Clinton. Sui profili social di Wikileaks si sono viste diffondere le teorie più bizzarre tra quelle confezionate dalla destra radicale americana, per arrivare a una manciata di tweet antisemiti – potevano mancare gli ebrei tra i nemici di Sant’Assange? – poi provvidenzialmente rimossi. Un dettaglio insignificante per il devoto assangiano medio, il cui odio per i Clinton è più forte sia di qualunque riserva etica che del buon senso più elementare: l’aver rivelato le manovre di parte del Comitato Nazionale Democratico ai danni della candidatura di Bernie Sanders a primarie ormai concluse, pur disponendo da tempo di quelle informazioni, non è servito ad aiutare Sanders, ma solo ad azzoppare la Clinton e di conseguenza a dare una mano a Trump.

Quisquilie, per i nostri assangiani generici, ma anche per tanti gazzettieri che hanno deciso di dedicarsi alla nicchia del “leak journalism”. Costoro, in questi anni impegnati a difendere il loro principale spacciatore di notizie riservate, hanno sistematicamente minimizzato o ridicolizzato la questione delle fake news e dell’influenza russa durante le presidenziali americane – e, fatto ancor più grave, hanno contribuito alla campagna di disinformazione sulla Rivoluzione Siriana e sui massacri perpetrati da Assad con l’insostituibile aiuto di Putin. D’altronde, Assange si è sempre trovato a suo agio con gli apparati della propaganda e dell’intelligence russi – importanti fornitori di materiale per Wikileaks – al punto da consigliare al Beato Snowden di trovare asilo a Mosca…

In un simile mondo alla rovescia viene naturale citare Orwell. Lo citano tutti, di qualunque tendenza, e lo cita da molti anni anche il nostro Julian. C’è solo da sperare che George Orwell vada a tirargli i piedi ogni notte.

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