America

Romney rilancia da destra la sfida a Trump

16 Febbraio 2018

Mitt Romney ritorna in pista. Oggi, l’ex governatore del Massachusetts ha annunciato la sua candidatura per il seggio senatoriale dello Utah.

Di fede mormone, Romney ha generalmente militato nelle file più centriste del Partito Repubblicano, cercando per due volte di arrivare alla presidenza degli Stati Uniti. Ma senza troppa fortuna. La prima, nel 2008, fu sconfitto durante le primarie repubblicane da John McCain. La seconda, nel 2012, riuscì a conquistare la nomination ma fu sconfitto da Barack Obama alla General Election. In entrambi i casi, scontò la sua immagine troppo moderata e – in particolare – la sua fede religiosa. Ha infatti subìto ripetutamente l’ostracismo della destra evangelica, che non lo ha mai digerito, scegliendo di boicottarlo. Nel 2012, provò in extremis ad attirarsi le simpatie dei conservatori, individuando come vice il destrorso Paul Ryan: ma non ci fu nulla da fare.

Ciononostante, nel 2016 Romney fu tra i principali organizzatori della fronda repubblicana contro l’allora candidato Donald Trump: attaccò a più riprese il miliardario, tacciandolo di essere una sorta di eretico, non in linea con i valori politici di Lincoln e Reagan. Addirittura sembrava fosse pronto a creare un nuovo partito, pur di impedire che Trump riuscisse a conquistare la Casa Bianca. Sennonché tutti questi sforzi si sono rivelati vani. E il magnate è infine riuscito ad entrare da vincitore nello studio ovale. Fu allora che il rapporto tra i due sembrò vagamente addolcirsi. Si diceva, addirittura, che Trump fosse intenzionato a nominarlo segretario di Stato, proprio per cercare di ricucire con i propri nemici interni. Non se ne fece nulla. E alla fine la scelta ricadde sul pragmatico e realista Rex Tillerson, lasciando Romney a bocca asciutta. Una delusione probabilmente amara. Anche perché per mesi il nome dell’ex governatore del Massachusetts era letteralmente sparito dai radar.

E oggi ci riprova. Pur militando all’interno di un partito che, in fin dei conti, non lo ha mai granché amato, Romney sa di avere dalla sua un manipolo di fedelissimi, oltre a una potenza finanziaria non indifferente. E, c’è da giurarci, questo suo ritorno non sembra promettere rapporti idilliaci verso l’inquilino della Casa Bianca. Nel suo messaggio di candidatura, Romney ha infatti affermato di voler essere una voce indipendente al Senato, aggiungendo “lo Utah accoglie gli immigrati legali da ogni parte del mondo”. Una frase che molti hanno voluto leggere come una stoccata nei confronti delle politiche restrittive sull’immigrazione promosse dall’attuale presidente. Senza contare che il fatto stesso di voler ribadire la propria “indipendenza” sembrerebbe accomunare Romney alla figura di un altro storico nemico repubblicano di Trump: il senatore dell’Arizona, John McCain che –  attualmente fiaccato da un cancro al cervello – ha sempre rivendicato un’azione politica autonoma rispetto all’ortodossia del suo partito, non risparmiando neppure aspre critiche verso le politiche dell’attuale presidente (soprattutto sulla sanità).

In questo senso, la nuova candidatura di Romney non può al momento essere letta come una buona notizia per Trump. Nonostante il suo non eccessivo seguito popolare, una volta entrato alla camera alta, l’ex governatore potrebbe rivelarsi una vera e propria spina nel fianco per il presidente. Anche perché la maggioranza repubblicana al Senato risulta risicatissima. Ed è molto probabile che le elezioni di metà mandato del prossimo novembre non cambieranno troppo questa situazione. In virtù di ciò, non dobbiamo neppure dimenticare le divergenze ideologiche che dividono i due antagonisti. Romney, come detto, si è ritagliato negli ultimissimi anni il ruolo di “custode” dell’eredità repubblicana: sostiene una politica estera tendenzialmente interventista (molto simile a quella di George W. Bush), sposando al contempo una visione economica profondamente liberista. Tutti elementi che stridono fortemente con il protezionismo e il tendenziale isolazionismo geopolitico appoggiati dal presidente. Se a questo aggiungiamo poi gli asti personali, si capisce come – probabilmente – l’obiettivo primario di Romney sia quello di rendere la vita difficile al suo nemico, proponendosi come autorevole punto di riferimento per quell’ala repubblicana che continua a vedere Trump come il fumo negli occhi.

Nei rapporti con l’elefantino, il presidente, dal canto suo, qualche progresso l’ha fatto: soprattutto grazie alla riforma fiscale (approvata lo scorso dicembre), il consenso repubblicano attorno al magnate è significativamente aumentato. Ma non è detto che questa luna di miele sia destinata a durare. Anche perché Trump ha appena proposto una riforma infrastrutturale che prevedrebbe investimenti pubblici per 200 miliardi di dollari. Se per i democratici la cifra è troppo bassa, svariati repubblicani (soprattutto tra i liberisti ortodossi) la considerano al contrario elefantiaca. Graverebbe, in particolare, sul già cospicuo debito pubblico statunitense. E qualcuno ha già parlato di statalismo inaccettabile. Ecco: proprio in “fessure” come queste l’ex governatore potrebbe cercare di inserirsi, per alimentare la fronda anti-trumpista. Ancora una volta i guai per il presidente potrebbero, insomma, spuntare dall’interno. E Romney potrebbe saperne qualcosa.

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