America
Il ritorno di Bernie Sanders
Bernie Sanders è tornato. E scende nuovamente in campo su un tema a lui particolarmente caro: quello della sanità. Dopo la sconfitta del Partito Democratico alle ultime elezioni, il vecchio senatore ha continuato a battersi tra le sue file, cercando di portare l’asinello verso una prospettiva politica maggiormente sinistrorsa e lontana dal fallimentare centrismo clintoniano.
A capo di una fazione agguerrita, ha tentato all’inizio del 2017 di scalare il Partito, appoggiando la candidatura a presidente di Keith Ellison: ma non c’è riuscito. Mentre, nei mesi successivi, i democratici hanno continuato a dividersi tra radicali e moderati, non riuscendo a trovare una linea coesiva che andasse al di là del mero ostruzionismo anti-Trump. D’altronde, il nuovo presidente dell’asinello, Tom Perez, non sembra ancora oggi troppo in grado di elaborare una sintesi: molto vicino all’establishment, guarda con una certa diffidenza la corrente sandersiana, di cui teme un’impostazione troppo settaria e fondamentalmente inadatta verso l’arte governativa. Un dato che ha gettato il Partito Democratico in uno stallo pericolosissimo: uno stallo che ha lasciato l’iniziativa politica quasi completamente nelle mani dei rivali repubblicani. Uno stallo tanto più grave se si considerano le divisioni fratricide attualmente in seno al Grand Old Party. In tutto questo, ci si è messo poi il ritorno sulla scena di Hillary Clinton, che, nel suo nuovo libro “What happened”, ha lanciato una serie di accuse venefiche contro il vecchio Bernie, considerandolo la causa principale della propria sconfitta lo scorso novembre (ovviamente neanche una parola di mea culpa sulle proprie contraddizioni politiche e sui propri affari opachi con la fondazione di famiglia). Anche per questo, Sanders non sembra arrendersi. E ha dunque presentato una proposta di riforma sanitaria particolarmente ambiziosa e in linea con quanto promesso ai tempi dell’ultima campagna elettorale.
Nel dettaglio, il perno della riforma sandersiana dovrebbe risiedere in Medicare (il programma sanitario per gli over 65, siglato da Lyndon Johnson nel 1965). Innanzitutto, le assicurazioni private dovrebbero essere sostituite da una espansione di questo programma, che andrebbe a coprire ogni cittadino americano. Inoltre, il piano dovrebbe anche includere i bambini, nonché fornire coperture non attualmente garantite (soprattutto nel settore dentistico e oftalmologico). A tutto questo si aggiunga poi la possibilità di negoziare i prezzi dei medicinali: una facoltà che oggi è fondamentalmente vietata. L’idea sarebbe quindi quella di garantire una sanità per tutti, in cui le assicurazioni private verrebbero drasticamente ridimensionate. Una battaglia che Sanders aveva già combattuto ai tempi delle primarie contro Hillary, quando più volte definì Obamacare una riforma insufficiente in termini di giustizia sociale.
La proposta, neanche a dirlo, è già finita al centro di numerose polemiche. Soprattutto, da parte di chi la considera qualcosa di meramente velleitario. E questo, per una serie di ragioni. In primis, con entrambe le camere in mano al Partito Repubblicano, è assolutamente impossibile che un simile disegno di legge possa essere approvato. A maggior ragione sotto un presidente come Donald Trump, che ha sempre fatto della defiscalizzazione uno dei propri cavalli di battaglia. Un punto decisivo: perché l’ambiziosa proposta di Sanders potrebbe risultare concretamente sostenibile soltanto grazie a un deciso aumento della tassazione. In secondo luogo, anche tra gli stessi democratici i malumori non sono pochi. Soprattutto le correnti centriste considerano il piano di Sanders nulla di più che una sparata populista: ragion per cui, anche laddove prima o poi l’asinello dovesse riuscire a conquistare il Congresso, non è affatto scontato che questa proposta di legge possa avere vita facile. Eppure, nonostante ciò, è bene rilevare che un senso questa mossa sandersiana ce l’abbia. Ed è un senso tutto strategico.
Innanzitutto, come detto, la questione di un sistema sanitario universale rappresenta da sempre una delle battaglie principali del senatore del Vermont: un vessillo attorno a cui compattare la propria base e – possibilmente – estenderla. In secondo luogo, anche in termini di immagine, la questione sanitaria si configura di fondamentale importanza nell’agone politico americano: non soltanto per la delicatezza della materia ma anche per quanto sta avvenendo sul fronte repubblicano. Sono mesi che Trump sta cercando di picconare Obamacare, senza tuttavia riuscirci. Ribelli repubblicani spuntano difatti ovunque e – ad oggi – hanno tagliato le gambe ad ogni tentativo di intervento nel settore sanitario. Infine, sul versante parlamentare, Sanders non sembra più solo come un tempo. Ad appoggiare la sua riforma ci sono attualmente altri quindici senatori democratici: un numero che potrebbe anche salire nelle prossime settimane. E c’è già chi pensa che, con questa proposta, il vecchio socialista voglia confezionarsi un trampolino di lancio per le presidenziali del 2020. Anche perché, molti sondaggi registrano come Sanders risulti oggi tra i politici maggiormente popolari negli Stati Uniti: una situazione ben diversa dall’aprile 2015, quando si candidò tra le risate di scherno di chi lo considerava nulla più di un Don Chisciotte esaltato. Risate di scherno che qualcuno dovette poi rimangiarsi, visti i successi elettorali mietuti e le decine di migliaia di sostenitori raccolti ai comizi, nel corso delle ultime primarie democratiche. Una ragione in più per ipotizzare una sua nuova discesa in campo. Fantapolitica? Forse. La strada è ancora lunga. E molte cose potrebbero accadere da qui a tre anni. Per adesso, solo un elemento resta certo: il vecchio senatore del Vermont è tornato. Ed è pronto a combattere ancora.
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