America
Il “Grande Gioco” secondo Donald Trump. La Reazione Globale in atto
Manca un giorno all’insediamento ufficiale di Donald Trump come 45° Presidente degli Stati Uniti d’America e la caratteristica scoppiettante della sua vittoria elettorale non si è certo smussata nella fase di transizione da presidente eletto. Con la prima conferenza stampa insieme ai media accreditati presso la Casa Bianca, i suoi tweet sul social più decisivo per la sua campagna, le interviste alla Bild (Germania) e Sunday Times (Gran Bretagna) The Donald è stato forse ancora più brutale di quanto potessero aspettarsi commentatori ed analisti (ma questa ormai non è una novità…). CNN azzittita e accusata di essere “propagandatrice di fake news”, damnatio memoriae dell’eredità obamiana con lo smantellamento della riforma sanitaria, conferma dell’innalzamento del muro anti-immigrati con il Messico e dei dazi doganali per tutte le imprese (prima fra tutte quelle automobilistiche) intente in progetti di delocalizzazione. Vengono cementate tutte le promesse fatte al popolo della Reazione Globale che lo ha portato alla vittoria: protezionismo, rivolta contro l’establishment, svolta securitaria, America First.
Ma è sul piano della geo-politica che Trump ha scosso tutti. Dove si credeva che l’apparato burocratico-istituzionale statunitense sarebbe stato in grado di appianare le tesi trumpiste, il presidente eletto – tra nomine e dichiarazioni – ha invece tenuto duro e semmai rilanciato i propri propositi. Ha appoggiato infatti nettamente la Brexit, definendola un successo e che sarà copiata da altri Paesi; l’Ue per Trump può anche essere smantellata, tanto è solo uno strumento in mano alle esigenze della Germania mercantilista; la Nato è un organismo anacronistico ed obsoleto; la Russia deve tornare ad essere un interlocutore con cui costruire un nuovo asse multipolare, stipulando semmai un accordo sulla riduzione degli arsenali atomici; disinteresse totale per la questione medio-orientale con l’unica eccezione di privilegiare l’alleato di ferro Netanyahu in Israele; la Cina è il vero avversario imperiale, da riportare sotto controllo sia dal punto di vista geo-politico sia dal punto di vista commerciale, mettendo in discussione anche il principio di “una sola Cina” inaugurato negli anni ’70 dal repubblicano Nixon.
Potrebbero sembrare anche questi tutti velleitarismi come quelli propugnati per la politica interna. Ma invece – evitando lo stesso errore di sottovalutazione – rappresentano la grande politica, o in questo caso il “grande gioco“ che Trump vuole patrocinare. Come per l’espressione usata nella sfida tra Russia zarista ed Impero Britannico nell’arco del XIX secolo, anche il nuovo presidente degli U.S.A. vuole mettere in campo un insieme di alleanze e di strategie in grado di contenere l’espansione geo-politica della Cina. Pure Obama – con la sua dottrina del “Pivot to Asia” – tramite accordi commerciali ed economici ha tentato di implementare questo piano. Donald Trump forse non verrà ingabbiato dagli stessi scrupoli diplomatici che invece hanno segnato il suo predecessore, almeno da quanto affermato nelle ultime interviste citate.
La Reazione Globale quindi, attraverso il suo più forte esponente, sembra intenzionata anche nell’affrontare questioni che vanno al di là del mandato che i deplorables gli hanno affidato. Questo perché molto probabilmente sarà in grado di piegare le scelte internazionali e geo-politiche agli interessi vitali di questo ampio settore sofferente delle società occidentali che ha saputo interpretare tramite Trump, con una formula magica ormai da mandare giù a memoria: protezionismo, rivolta contro l’establishment e svolta securitaria.
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