America
Il fuoco dell’America Latina brucia anche in Colombia
Il sudamerica continua ad infiammarsi. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza anche in Colombia per chiedere un maggior rispetto dei diritti sociali seguendo l’impronta di paesi vicini come Venezuela, Ecuador, Cile e Bolivia.
Nella capitale, Bogotà, è scattato il coprifuoco per le 21 di sera indetto dal sindaco Enrique Penalosa, mosssa che ha irrigidito ancora di più i rapporti della popolazione con il governo. Penalosa ha anche riferito che nella capitale erano stati impiegati già 4mila soldati e diversi corpi di polizia che avevano già arrestato 230 persone per vandalismo. Le proteste però si sono sparse anche nelle zone periferiche e in altre importanti città della Colombia come Cali, Medellin e Bucamaranga e Barranquilla dove la gente ha protestato contro la politica del presidente Ivan Duque ponendo l’attenzione su temi importanti come le pensioni, il lavoro, l’istruzione e anche per condannare una striscia di uccisioni di leader sociali indigeni.
Come previsto ci sono stati incidenti e 3 persone sono morte nel dipartimento della Valle del Cauca in seguito agli scontri con la polizia e almeno 200 sono rimaste ferite. Ivan Duque, eletto nell’agosto 2018 – e che ha visto scendere di molto il rating di approvazione del suo governo -, ha scelto la linea intransigente, decidendo di impiegare l’esercito a fianco della polizia per sedare le proteste.
Le manifestazioni sono iniziate giovedì scorso con uno sciopero teso ad evidenziare lo scontento verso l’amministrazione di Duque, poi ci sono stati scontri e blocchi stradali che hanno fatto mobilitare il governo al fine di “garantire la sicurezza”, ma sono in tanti a riconoscere in numerosi atti vandalici la mano del governo per delegittimare la protesta iniziata pacificamente, teoria sostenuta anche dal presidente della Commissione per la pace del Senato Roy Barreras. Davvero nulla di strano, se così fosse – ha riferito Barreras al Manifesto- per un paese in cui l’esercito è arrivato, negli anni del conflitto, ad assassinare civili innocenti facendoli passare per guerriglieri delle Farc uccisi in combattimento, in maniera da esaltare l’efficienza repressiva delle forze armate (e intascare i relativi premi)”.
“Viviamo in un paese che uccide i bambini, che uccide i leader sociali, con un governo contrario alla pace”, ha dichiarato Alexandra Guzmán in un’intervista al Guardian, una donna d’affari che assume ex membri di Farc per lavorare nel suo laboratorio di arredamento. “Ecco perché dobbiamo cambiare qualcosa. Non possiamo continuare a vivere così”. Come accaduto anche in Cile sta crescendo la disparità tra le classi, con “i banchieri che stanno crescendo a discapito dell’economia”, ha detto in un tweet Gustavo Petro, senatore all’opposizione che ha corso proprio contro l’attuale presidente colombiano lo scorso anno.
Le marce di protesta sono state tuttavia pacifiche, gli scontri ci sono stati ma solo nelle zone vicine all’aeroporto di Bogotà, stesse proteste che nei mesi precedenti hanno esitato a partire, ma che la scorsa settimana hanno invece avuto un grande sostegno da parte di tutta la popolazione. “Oggi sto marciando perché la mia generazione ha bisogno di una pensione quando invecchierà”, ha detto María Rodríguez, una studentessa che stava marciando con i suoi compagni, al Guardian, . “Dobbiamo difendere i nostri diritti”. “Abbiamo combattuto per generazioni per assicurarci di non essere più perseguitati per quello che dicevamo”, ha affermato Mafe Carrascal, un attivista che ha partecipato alle marce di Bogotá. Era presente anche Jacqueline Castillo, una madre il cui fratello è stato assassinato dall’esercito prima di essere dichiarato falsamente un combattente Farc nemico, uno dei migliaia di omicidi “positivi” che hanno afflitto il paese dal 2002 al 2008. “Non abbiamo paura di lottare per la giustizia e la pace, e scenderemo in strada fino a quando non le avremo”, ha detto Castillo. “La gente non si arrende!”.
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