America
Il destino incerto di Rex Tillerson
Alla fine Donald Trump ha scelto Rex Tillerson come segretario di Stato. Dopo un mese di trattative estenuanti, la scelta del presidente in pectore è ricaduta sull’amministratore delegato del colosso petrolifero Exxon Mobil: una decisione che evidenzia la volontà da parte del miliardario di tirar dritto nel suo progetto di distensione verso la Russia. Non a caso, difatti, Tillerson è noto per la sua fortissima vicinanza a Vladimir Putin: fattore, questo, che non risulta tuttavia gradito a parte cospicua del mondo politico statunitense.
Non solo i democratici ma anche non pochi nomi di peso del Partito Repubblicano temono un indebolimento degli Stati Uniti davanti al potere di Mosca. E, proprio per questo, il destino di Tillerson, se non proprio appeso a un filo, appare comunque abbastanza traballante. Non bisogna infatti dimenticare che, in base alla Costituzione, è il presidente – sì – a nominare i suoi ministri, ma soltanto attraverso la ratifica del Senato. E proprio qui i numeri potrebbero rivelarsi particolarmente infidi: qualora difatti i democratici votassero compattamente contro, basterebbe una defezione sul fronte repubblicano per mettere in crisi la nomina di Tillerson. Il tutto mentre già nomi eccellenti del Grand Old Party hanno espresso più di una riserva: in particolare, i senatori John McCain e Marco Rubio che non solo si sono costantemente caratterizzati per la nomea di falchi anti-russi ma che non hanno neppure granché mai apprezzato l’ascesa politica di Trump.
Il punto, è che la prospettiva tendenzialmente distensiva incarnata da Tillerson si contrapponga abbastanza nettamente alla linea ideologica (ben più aggressiva e muscolare) propugnata dalle aree di stampo neoconservatore. In tal senso, da più parti si sottolinea come la prospettiva ideologica del (forse) nuovo segretario di Stato sia particolarmente vicina a quella di Henry Kissinger: il realista che negli anni ’70 aprì alla Cina di Mao e all’Unione Sovietica di Breznev (suscitando per questo le ire dei rampanti neocon, guidati da Reagan). E allora, alla luce di tutto questo, bisogna ritenere che il destino di Tillerson sia già segnato? Non esattamente. Per quanto difatti la strada non sia in discesa, occhio ai facili automatismi.
Innanzitutto, sebbene alcune parti dell’establishment repubblicano non sembrino granché convinte dal suo nome, altre al contrario sono scese in campo a suo sostegno. Addirittura, pare che la scelta di Trump sia stata fortemente caldeggiata da figure come l’ex segretario alla Difesa, Robert Gates, e l’ex segretario di Stato Condoleezza Rice. Inoltre, nelle ultime ore, stanno difendendo Tillerson anche l’ex presidente George Walker Bush e l’ex vicepresidente Dick Cheney. Nomi che, nel corso della campagna elettorale, hanno duramente criticato Trump e che – storicamente – hanno incarnato una visione politica di stampo nettamente neocon e quindi non troppo in armonia con il pragmatico e distensivo realismo kissingeriano di Tillerson. Un ribaltamento di prospettive bello e buono, le cui ragioni potrebbero essere le più disparate. C’è chi dice che si voglia arrivare a una pacificazione interna al partito, creando un’armonia tra le varie correnti attualmente ancora in lotta tra loro. E c’è chi – più maliziosamente – ricorda i legami di personaggi come Gates e la Rice con l’universo di Exxon Mobil.
Inoltre, è bene rilevare, come – alla prova del Senato – ci saranno nomine ben più controverse di quella di Tillerson. In particolare, il candidato al ministero della Giustizia, Jeff Sessions, ha suscitato le dure critiche dell’ala sinistra del Partito Democratico, che ha promesso di dare battaglia pur di bloccarne la nomina. Nella fattispecie, su Sessions pendono accuse di razzismo e ultraconservatorismo che potrebbero far passare in secondo piano i controversi rapporti di Tillerson con Mosca, nonché le sue posizioni ambigue in tema di ambiente e cambiamento climatico.
Come che sia, qualora l’amministratore delegato dovesse farcela, è altamente probabile un cambiamento di rotta deciso nei rapporti verso il Cremlino. Non è invece ancora ben chiara quale potrà essere la sua linea nei confronti della Cina, anche alla luce degli atteggiamenti oggettivamente contraddittori assunti da Trump verso Pechino in queste settimane. In tutto questo, non si trascuri un altro fattore: a fronte di nomi filo-russi come quelli dello stesso Tillerson o del papabile National Security Advisor, Michael Flynn, altri non appaiono esattamente dello stesso avviso. Si pensi solo che il neosegretario alla Difesa, James Mattis, abbia spesso usato parole di fuoco contro Vladimir Putin. Un elemento che mette in luce la possibilità di discordie in seno alla nuova amministrazione.
Tuttavia per ora, un punto risulta chiaro: sul nome di Tillerson si giocherà a breve il destino del Partito Repubblicano e della stessa presidenza Trump. Il miliardario ha un disperato bisogno di una compagine unita alle sue spalle. E se le faide interne non dovessero placarsi, il rischio per Trump è quello di ritrovarsi ad essere un’anatra zoppa. Ancor prima di cominciare.
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