America

Il destino di Trump è segnato?

8 Ottobre 2016

Nuova bufera sulla sfida elettorale americana. Il Washington Post ha diffuso ieri un video del 2005, in cui Donald Trump pronuncia affermazioni pesantemente sessiste. La tegola si è abbattuta in un momento non particolarmente felice della campagna elettorale del miliardario newyorchese, dopo la performance non ottimale, registrata nel dibattito televisivo dello scorso 26 settembre.

Hillary Clinton non ha perso tempo ed è tornata all’attacco del rivale, accusandolo di sessismo. “Non possiamo permettere che una persona simile diventi presidente”, ha tuonato l’ex first lady. Guai ancora maggiori sono poi sorti nello stesso partito repubblicano. Il governatore della Florida, Rick Scott, da sempre ritenuto abbastanza vicino al miliardario, ha definito “terribili” quelle affermazioni. Più duro ancora è stato l’ex rivale repubblicano, Marco Rubio: “I commenti di Donald sono stati volgari, oltraggiosi e indifendibili”. L’ex governatore dello Utah, John Hunstman, ha invitato Trump ad abbandonare la corsa presidenziale, mentre lo Speaker della Camera, Paul Ryan, si è detto “disgustato” dalle affermazioni del candidato repubblicano. Mitt Romney, dal canto suo, ha dichiarato che i commenti di Trump ledono l’immagine dell’America nel mondo. Ciliegina sulla torta: il vice Mike Pence, che ha preferito il riserbo.

Non è la prima volta che emerge la questione del sessismo di Trump. Già nell’agosto 2015, a ridosso del primo dibattito televisivo tra i candidati repubblicani, ebbe un duro scontro con la giornalista di Fox News, Megyn Kelly, lasciandosi andare a commenti offensivi verso le donne. Una mossa che all’epoca molti analisti politici considerarono deleteria ma che non fermò comunque l’avanzata elettorale del miliardario. Tuttavia non è chiaro se oggi possa accadere altrettanto. Allora si trattava della campagna elettorale per le primarie: l’Election day era lontano e la stessa tipologia di elettorato coinvolto era fortemente diversa. Trump deve averlo capito: e infatti ha diffuso un video di scuse (fatto abbastanza inusuale per lui), in cui si impegna “ad essere un uomo migliore in futuro”.

E adesso, dalle parti del GOP qualcuno inizia già ad ipotizzare di sostituire il miliardario con il suo vice, Mike Pence. Secondo alcuni analisti, la buona performance registrata nel dibattito vicepresidenziale dello scorso martedì, conferirebbe a Pence l’immagine di candidato repubblicano moderato, serio e preparato, di contro alle mattane del fulvo magnate. Tuttavia, a ben vedere, una simile eventualità appare abbastanza improbabile: per quanto teoricamente il comitato elettorale repubblicano possa intervenire in tal senso, questa opzione finirebbe con il rilevarsi controproducente. Non soltanto alcuni elettori hanno già votato ma – soprattutto – a un mese esatto dalle elezioni non è chiaro come sia possibile trovare un altro nome su cui far convergere l’intero partito. Occhi quindi puntati allo scontro televisivo che si terrà domenica 9 ottobre.

Stando a molti analisti, questo dibattito rappresenterà il vero spartiacque della campagna elettorale (per quanto sia bene ricordare che spesso i dibattiti televisivi abbiano un impatto relativo sul voto novembrino, come accadde per esempio nel 2004, ai tempi della sfida tra Bush e Kerry). Come che sia, domenica Trump partirà da una posizione di netto svantaggio: nonostante la buona performance del suo vice, il video sessista rischia di azzopparlo seriamente, lasciando il fianco scoperto agli attacchi di Hillary. Una Hillary che spera evidentemente di mettere KO l’avversario, nonostante alcune incognite. Anche l’ex first lady difatti non sarà esente da grattacapi, visto che – quasi in contemporanea con la diffusione del video di Trump – venerdì WikiLeaks ha a sua volta diffuso una serie di email che non è ancora chiaro se e come possano influire sulla sua campagna elettorale.

Quello che appare abbastanza certo è che il dibattito di domenica sarà un duello all’ultimo sangue: cattivo, duro e spietato. Trump deve riuscire a rompere l’accerchiamento in cui è finito, mentre Hillary deve preservare l’attuale vantaggio, evitando il rischio di dilapidarlo all’ultimo momento. Qualcuno paragona la diffusione del video di Trump a quando, nel 2012, l’allora candidato repubblicano Mitt Romney fu “intercettato” mentre lamentava che il 47% degli elettori americani erano statalisti in cerca di assistenzialismo: un fatto che – secondo gli analisti – avrebbe contribuito non poco a dare il colpo di grazia alle speranze presidenziali dell’ex governatore del Massachusetts. L’impatto del video di Trump avrà lo stesso esito? Possibile, ma non scontato.

Non dimentichiamoci che la campagna elettorale per le presidenziali del 2016 si è rivelata una delle più bizzarre che la Storia americana ricordi: una campagna in cui molti precedenti sono saltati, lasciando il posto ad incognite e punti interrogativi per un futuro sempre più avvolto dalle nebbie dell’incertezza. Secondo alcune rilevazioni riportate oggi da Politico, all’interno dei rispettivi partiti la situazione appare frastagliata: se il 69% degli attivisti democratici ritiene ormai Trump fuori dai giochi, il 54% di quelli repubblicani lo dà ancora in corsa. Ma si sa: in tutto questo calderone turbolento, i sondaggi contano fino a un certo punto.

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