America

Il destino dell’Obamacare

12 Novembre 2016

Donald Trump non ha mai mostrato eccessiva simpatia per l’Obamacare: da quando iniziò la sua dura critica verso Barack Obama, nel 2012, il magnate newyorchese ha costantemente considerato la riforma sanitaria voluta dal presidente come uno dei punti su cui battere maggiormente. Eppure notizia delle ultime ore è che – nonostante la sua promessa di abolirla – il miliardario parrebbe oggi orientato a mantenerne in piedi alcune parti. Che cosa sta succedendo?

L’Obamacare (o Affordable Care Act) è la riforma sanitaria fortemente voluta dal presidente Barack Obama, che ha rappresentato in un certo senso il fulcro programmatico del suo primo mandato di governo. Già durante le primarie democratiche del 2008, questo progetto aveva rappresentato uno degli elementi di maggior attrito tra l’allora senatore dell’Illinois e la sua avversaria, Hillary Clinton, finendo con l’incarnare in buona sostanza l’anima stessa di quella che avrebbe dovuto essere la rivoluzione obamiana. Nonostante una durissima opposizione repubblicana al Congresso, la riforma era alla fine riuscita a passare – non senza annacquamenti – nel 2010. Svariate le innovazioni significative: l’aumento dei cittadini coperti dal programma sanitario Medicaid, il divieto alle compagnie assicurative di negare la stipula delle polizze a cittadini affetti da determinate patologie, l’obbligo per i cittadini di stipulare un’assicurazione (pena il pagamento di un’ammenda). Soprattutto quest’ultimo punto fu considerato controverso. E, non a caso, la riforma ha dovuto affrontare ben due pronunciamenti della Corte Suprema (entrambi superati): nel 2012, quando fu confermato non ci fosse incostituzionalità nell’obbligo a stipulare una polizza; nel 2015, quando i sussidi statali riservati agli indigenti per la stipula delle polizze furono dichiarati legittimi.

La questione era tuttavia finita ben presto nel dibattito elettorale per le presidenziali del 2016. Non soltanto all’interno del Partito Repubblicano (i cui candidati, chi più chi meno, si dichiaravano tutti favorevoli all’abolizione della riforma) ma anche in seno allo stesso Partito Democratico. Se Hillary Clinton, un po’ paradossalmente, si trovava a difendere a spada tratta quella riforma che nel 2008 aveva invece duramente attaccato, il candidato socialista Bernie Sanders la definiva troppo blanda, invocando un modello sanitario di stampo europeo.

Il punto è che però, nonostante le apparenze e le dichiarazioni formali per prendersi il voto degli ultraconservatori, anche sul fronte repubblicano si è assistito a posizioni ben più sfumate. In particolare, durante uno dei dibattiti televisivi tra i candidati, si assistette a uno scontro feroce tra il senatore texano Ted Cruz e lo stesso Trump: nel tentativo di dipingere il magnate come un repubblicano fasullo, Cruz attaccò l’avversario, dicendo che in realtà lui non avesse alcuna intenzione di abolire effettivamente Obamacare, rimproverandogli inoltre di portare avanti un’idea di sanità e medicina pericolosamente stataliste. E proprio in quell’occasione Trump gli rispose, affermando che – contrariamente a Cruz – lui non avrebbe “lasciato morire la gente per strada”: un’affermazione forte che, in un certo senso, contravveniva all’istanza di libero mercato puro avanzata per il settore sanitario da numerosi esponenti del Partito Repubblicano. Un’affermazione che, già allora, lasciava intravvedere come la posizione di Trump sul tema sanitario potesse rivelarsi più morbida, rispetto alle sparate pronunciate negli ultimi anni. Tuttavia, al di là delle reminiscenze storiche, la domanda adesso è: che cosa ne sarà dell’Obamacare?

In un’intervista rilasciata ieri al Wall Street Journal, il presidente in pectore ha affermato che potrebbe considerare di conservarne alcune parti: in particolare, potrebbe preservare il mantenimento degli under 26 nei piani assicurativi dei genitori. Non è ovviamente ancora chiaro se si tratti di una nuova sparata o se Trump abbia effettivamente intenzione di non smantellare l’intera riforma. Come visto, le sue posizioni passate sul tema non sono risultate esenti da contraddizioni e comunque, qualora il magnate fosse seriamente intenzionato ad agire in questa direzione, ci sono almeno due considerazioni da fare.

Innanzitutto, a livello generale, ciò confermerebbe ulteriormente il mutamento genetico che il miliardario starebbe apportando al DNA del Partito Repubblicano. Il Grand Old Party che abbiamo conosciuto sino ad oggi è infatti una compagine figlia della rivoluzione reaganiana degli anni ’80: un partito tendenzialmente interventista in materia di esteri e liberista in economia che oggi tuttavia sembra stia mutando pelle. Sotto questo aspetto, anzi, il ruolo di Trump potrebbe rivelarsi simile a quello incarnato dallo stesso Reagan nel 1980: quando, vinta la nomination repubblicana e arrivato poi alla Casa Bianca, rivoluzionò totalmente un partito fino ad allora di tendenze stataliste in economia, nonché cauto e distensivo in materia di esteri. Reagan defenestrò letteralmente quelle idee politiche che avevano gravitato attorno alle figure di Nixon, Kissinger e Ford, per aprire le porte a una serie di istanze particolarmente vicine all’ideologia kennediana e al liberoscambismo di Goldwater. Un paradosso evidente che – tuttavia – Reagan riuscì a far digerire a un partito inizialmente riluttante (ricordiamo infatti che era stato sconfitto di misura alle primarie repubblicane del 1976, contro Gerald Ford). In tal senso, la questione sanitaria potrebbe essere rivelativa della possibilità di una nuova rivoluzione in seno al Grand Old Party. D’altronde, i partiti politici statunitensi non presentano strutture rigide: sono grandi contenitori fluidi che possono, proprio per questo, mutare le proprie essenze in base alla contingenza dei tempi.

E proprio questo dato ci porta alla seconda considerazione: come si comporterà il Congresso? E’ vero, dopo queste elezioni è rimasto completamente in mano ai repubblicani. E l’ultima volta che il Grand Old Party abbia mantenuto sia il Congresso che la Casa Bianca risale al 2004: ai tempi di George Walker Bush. Un simile dato dà teoricamente a Trump un potere immenso. Teoricamente però. E proprio la questione dell’Obamacare sta a dimostrarlo. Perché se anche il magnate avesse intenzione di mutare l’ideologia reaganiana del Grand Old Party, non è detto che i repubblicani al Congresso lo seguano in massa: sia per ragioni di principio sia (più pragmaticamente) per ragioni politiche. Non dimentichiamo che svariati dei senatori repubblicani appena rieletti (da Marco Rubio a Rob Portman, passando per John McCain) non hanno mai digerito troppo Trump. E anche per questo potrebbero mettergli i bastoni tra le ruote. E, di nuovo, l’Obamacare potrebbe rappresentare la miccia scatenante. Di appigli, d’altronde, ne troverebbero.

Da una parte, un elemento oggettivo: se la riforma sanitaria obamiana ha introdotto elementi difficilmente criticabili (come l’espansione degli aventi diritto alla copertura del programma Medicaid) dall’altra non dimentichiamo che dati recenti mostrino come la riforma abbia aumentato decisamente i costi dei piani di assicurazione sanitaria: l’ultimo aumento sarebbe addirittura del 25% tra 2016 e 2017. Un fattore che ha diffuso un certo malcontento tra gli americani verso la riforma. In secondo luogo, non dimentichiamo la questione ideologica: il vecchio Partito Repubblicano potrebbe decidere di dare battaglia, laddove il suo eretico presidente volesse cercare di smantellarne i punti di riferimento. Al Senato oggi siedono deputati che – basti pensare a Ted Cruz – hanno fatto dell’opposizione radicale all’Obamacare l’anima costitutiva della propria carriera politica. Senza poi contare che – un paio di giorni fa – il leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell, abbia affermato che il Partito Repubblicano voglia abolire “velocemente” la riforma. Accetteranno costoro dei compromessi su un tema simile?

La situazione è quindi delicata, anche perché – in un certo senso – va addirittura al di là dell’Affordable Care Act. Se pure Trump decidesse di smantellare completamente la riforma ma avesse poi intenzione di perseguire politiche sanitarie tutto sommato relativamente simili, il problema si riproporrebbe. Il punto è che non è chiaro ancora che cosa voglia effettivamente fare il magnate. Per adesso bisognerà attendere i nomi della nuova amministrazione. Ma intanto il destino dell’Obamacare resta avvolto dalla nebbia.

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