America
Good night, and good luck
Sul volo Alitalia che quasi ventuno anni fa mi portava in America non c’erano gli schermi a LED che adesso si trovano sugli schienali dei sedili di fronte, col telecomando sul bracciolo. Era solo il 2000, eppure i film in aereo si vedevano ancora su schermi di monitor con il tubo catodico appesi al soffitto della cabina dell’aereo. Ricordo che vidi un film con Kevin Costner, ma la mia mente era altrove. Stavo andando per la prima volta negli Stati Uniti, per passarvi l’ultimo anno di dottorato. Da Milano sarei arrivato a Boston. A Boston, avrei poi preso un aereo ad elica piccolissimo diretto a Ithaca, nella Cayuga County dello Stato di New York. In realtà quando arrivai a Boston scopersi che il volo per Ithaca era stato dirottato ad Elmira, sconosciuta città “upstate” di New York. Da Elmira un taxi mi avrebbe poi portato, a tarda sera, ad Ithaca. Ithaca è una graziosa cittadina che costeggia il bellissimo campus della Cornell University. Quando arrivai, il primo di Febbraio, la temperatura fuori era di -20 gradi e c’era tantissima neve.
Sono passati venti anni, ma è come se fosse stato una specie di spartiacque nella mia vita. Sapevo a cosa andavo incontro. Sono cresciuto in una famiglia dove, per vari motivi, il mito americano è stato sempre presente. La famiglia di mia nonna abitava in una grande casa vicino Pisa che nel 1944, ospitò una parte del comando americano a Sud dell’Arno. Mia madre e mia zia, che erano bambine allora, mi raccontavano dei soldati americani in casa; della loro gentilezza e del loro fascino di ragazzi; e del cinema che facevano proiettando dei film su un grande lenzuolo bianco appeso ad un muro della casa in giardino. In casa sono rimasti tanti 78 giri di musica di Glenn Miller, Tommy Dorsey ed altre orchestre; talvolta li ascolto ancora, affascinato dal vorticare del disco e dal fruscio di sottofondo.
Da ragazzo ho vissuto la transizione tra gli anni 70 ed 80, e l’arrivo della moda americana in Italia. Ho letto avidamente gli scrittori americani dell’ottocento e, soprattutto, del novecento. Hemingway, Keruac, London, De Lillo, Roth. Negli anni dell’adolescenza ho visto decine di film americani; alcuni antichi e classici, con Bogart, Brando; altri recenti, di Woody Allen, De Palma, Scorsese, Cimino, Lucas, Spielberg. E poi ho continuato anche negli anni della maturità. Con meno entusiasmo infantile, forse, ma altrettanto piacere. Forse questo atteggiamento è un po’patetico, o ridicolo, ma non so che farci.
Quando sono arrivato per studiare e lavorare, ho trovato un magnifico Paese che mi ha accolto a braccia aperte. In venti lunghi anni sono tornato tante volte, ed ho passato tanto tempo negli States; sempre lavorando, studiando, qualche volta anche insegnando. Ho visto laboratori bellissimi, popolati di gente di tutte le nazionalità; gente, specialmente ragazzi, dediti totalmente al proprio lavoro, competitivi, allegri. Ho visitato tante città, e forse un giorno proverò a parlarne. Sono stato felice, molto; e ho camminato da solo a Boston e a New York, in mezzo a quelle luci sui palazzi che non rendono mai la notte tale e alleviano la tristezza e la solitudine. Ho viaggiato sui pullman della Greyhound tra Stati e Stati. Quando da Ithaca andavo a New York, il viaggio durava cinque ore e si faceva sosta in un posto alla fine del mondo che si chiamava Monticello. All’andata, il venerdì, non lo notavo nemmeno: partivo alle 4:30 da Ithaca per essere alle 9:30 a New York; ma al ritorno, la domenica sera, la sosta a Monticello serviva a mangiare qualcosa al Dunkin Donuts locale. Ho posseduto una Chevrolet Cavalier di un brutto color oro, e ho guidato per tante autostrade, ascoltando musica rock, fermandomi a mangiare a Pizza Hut, e rimanendo affascinato dai boschi lungo le highways che non finiscono mai.
Stasera, all’annuncio che Joe Biden è stato eletto Presidente degli Stati Uniti non sono riuscito a trattenere una lacrima, maledetto sentimentalismo. Ero a Ithaca la sera che andai a letto con Presidente eletto Al Gore e mi svegliai con Bush junior Presidente; ed ho sempre seguito la politica americana attratto dal fascino della sua semplicità. Il pragmatismo idealista di tante storie di politica americana, forse costruito anche a posteriori, mi è sempre piaciuto. E’ provinciale, lo so, ma non posso farci niente. Nel 2018 ero nel Maine quando è morto John McCain, the maverick, l’anticonformista, ed ho avidamente seguito i funerali. McCain, eroe di guerra, mi piaceva per il suo desiderio di creare una politica bipartisan, basata più su quello che unisce che su quello che divide. E qualche anno prima ho (pure!) acquistato il DVD con i discorsi di Kennedy; sono soldi buttati via dato che tutti i filmati si trovano su youtube. Gli americani volevano andare sulla Luna, e ci sono andati. Hanno fatto anche una marea di scemenze, alcune anche inaccettabili, ma non riesco a far pendere la bilancia dalla parte negativa.
Torniamo a Biden. Mi piace, il vecchio Joe; lo sento vicino, un uomo solido, un uomo del novecento, come ormai sono anche io che sono arrivato alle soglie dei cinquanta. Anzi, l’elezione di Biden è l’ultimo regalo del XX secolo alle nuove generazioni. Old Joe è un nonno empatico, abile, moderato, che costruisce ponti e non innalza muri. Un uomo che ha attraversato tragedie nella sua vita, e si è dato uno scopo che ha perseguito con tenacia, come modo per superare le avversità e il senso di vuoto attorno a sè. Un uomo che -si vede lontano un miglio- ha una fiducia smodata nei lati positivi degli esseri umani. Un uomo che vorrebbe combattere il COVID19 addirittura assecondando i dettami della scienza. Fosse in Italia, col nostro cinismo sembrerebbe un cretino e non vincerebbe nemmeno l’elezione a rappresentante dei genitori a scuola. Biden non dirà mai meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Lui vuol davvero fare qualcosa; non è detto che ci riesca, ma ci prova davvero. Gli voglio bene. Ha battuto Trump, che è l’esempio della malattia che devasta la democrazia liberale: il bugiardo codardo che crea divisione nella società deprimendone le potenzialità. Eppure le sirene trumpiste, basate sul rancore e sul disprezzo, fanno presa anche su una società come quella americana che non è per nulla immune allo smarrimento portato dal nuovo secolo. Ma c’è un limite anche al peggio, perché in fondo siamo esseri umani. Biden è stato votato da tante donne bianche, che magari non si interessano di politica, ma sono rimaste colpite nel loro cuori di donne dalle aberrazioni delle politiche trumpiste, come separare i figli piccoli dai genitori che tentano di entrare negli Stati Uniti dal Messico. E l’ha votato tanta gente desiderosa di restituire un clima di civiltà e convivenza alla Nazione che si sente guida del mondo libero.
Già, la libertà. Ci voleva il vecchio Joe, uomo del novecento, per ricordare a tutti che essere liberi significa anche essere responsabili.
L’universo mi appare sempre più indifferente alle vicende umane, o forse è l’effetto negativo degli anni che passano. Eppure, sono sicuro che molte persone trovano felicità nella propria famiglia, nel proprio lavoro, nelle proprie amicizie. E poi ci sono posti dove si pensa che le nuove generazioni capiranno sempre qualcosa in più, che il futuro è un libro da scrivere e che la ricerca della felicità è un diritto inalienabile. Ho sempre vissuto l’America, la mia America, come un posto del genere. Good night and good luck, old Joe.
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