America
Francia e Venezuela, l’elettorato volta le spalle a una sinistra fuori contesto
Due elezioni intermedie e due Paesi di fronte al cambiamento che la Sinistra europea fa fatica ad accettare. Per due risultati in progress – quello francese che ha visto un’affermazione forte della destra del Front National lepenista, e quello venezuelano, che ha visto la pesante sconfitta a del Partito socialista chavista del Venezuela dopo 17 anni di vittorie – ci sono le scelte democratiche di due elettorati.
La Francia difficilmente vedrà una conferma del partito di Marie Le Pen nel secondo turno delle Regionali su livelli superiori al pur straordinario 30% conquistato al primo turno. La destra di Sarkozy e il Partito socialista del presidente François Hollande stanno preparandosi a un “voto repubblicano”: uniti contro l’avanzata di una destra estremista che ha cavalcato l’insoddisfazione della popolazione sui temi della sicurezza e delle politiche economiche nel rapporto sempre più tormentato con l’Unione Europea. Di fatto, il risultato finale di queste elezioni avrà definitivamente consegnato il Paese in mano alle destre e per il dibattito europeo sul Patto di Stabilità ciò rappresenta una svolta. Sottrarre al Front National quelle sei province che rappresentano metà dell’elettorato francese non è un’impresa impossibile per un patto tra due partiti che già in partito si sono passati la staffetta.
Discorso diverso in Venezuela dove dalla morte di Chavez il suo successore e attuale presidente Maduro ha sbagliato tutto, aggravando la crisi venezuelana già di suo sofferente per il crollo dei prezzi petroliferi. In un Paese dove anche recuperare i beni primari, dal cibo alla carta igienica, è diventata un’impresa complicata, la vittoria dell’opposizione alle elezioni legislative è l’inizio di una svolta storica fondamentale per evitare di dichiarare il default – che fino adesso è stata duramente pagato dalla popolazione ed evitato nei confronti dei mercati internazionali grazie agli aiuti cinesi.
Come in Francia, anche a Caracas siamo di fronte solo a un primo passo. Il Governo di Maduro potrebbe restare in carica fino al 2017 a meno che un referendum già nel 2016 mandi a casa un presidente mai eletto e in carica per decreto. Il fronte di unità democratica (MUD) hanno ottenuto una robusta maggioranza assoluta e un numero di seggi (113 su 167) così ampio per riprendere in mano le redini di un processo di democratizzazione perduto nell’autoritarismo di Maduro che ha colpito duro contro gli oppositori e non ha fatto un passo indietro neanche di fronte ai gravi scandali famigliari. La Corte Penale Internazionale dell’Aja lo indaga per crimini contro l’umanità ed a causa della repressione grave che dal 2014 ha visto vittime ingiustamente incarcerate, come Leopoldo Lopez, o eliminate. La Rivoluzione bolivariana evocata da Chavez nel 1999 nel rinominare il Paese e la «legge antimperialista» fatta approvare al vecchio Parlamento da Maduro, restano gli ultimi fuochi del naufragio di un socialismo utopico e “poco sostenibile” sia economicamente sia socialmente.
È iniziato un processo di transizione per un Venezuela per il quale il Fondo monetario internazionale pronostica un target del 200% di inflazione per il prossimo anno e le opposizioni dovranno avviare le necessarie misure di riforma, dalla gestione dei prezzi domestici dei carburanti ai controlli dei capitali e della divisa nazionale.
Sulle due sponde dell’Atlantico la sinistra lascia spazio a una reazione che arriva direttamente da popolazioni consapevoli del fallimento di vecchie ricette politiche ormai fuori contesto e incapaci di rispondere ai bisogni (di sicurezza in Francia, di buon funzionamento dell’economia in Venezuela). Gli equilibri geopolitici stanno cambiando ed anche queste due tornate elettorali sono sintomo e conseguenza di un cambiamento degli assetti globali in atto.
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