America
Finalmente chiudiamo la Via della Seta
Da quando è stata eletta presidente del Consiglio, Giorgia Meloni è impegnata in un febbrile programma di visite internazionali, poiché evidentemente considera una priorità il riequilibrio delle alleanze e delle posizioni italiane. Sorprendentemente, l’Italia di Meloni è filo-europea e filo-americana – nei fatti. Ed è per questo che il viaggio a Washington, intrapreso per dire al presidente Biden, a chiare lettere, che gli accordi italo-cinesi degli ultimi anni sono carta straccia, se gli americani non ci voltano le spalle.
Il governo Renzi ha usato la Cina come contrappeso nelle sue trattative, il cui peso maggiore è sempre stato quello di legare l’Italia alla politica moder0na delle teocrazie arabe. Ma l’arrivo dei grillini ha segnato la svolta mediatica, diplomatica e (venne promesso) economica dell’adesione italiana, primo paese europeo a farlo, al progetto della Via della Seta (BRI)[1], ovvero al dichiarato disegno cinese di usare i proventi del proprio surplus commerciale per diventare l’epicentro del nuovo ordine mondiale[2]. Un accordo, nell’ambito del quale ci erano stati promessi oltre 20 miliardi di euro[3],
Tradotto in fatti: i Cinesi hanno iniziato a comprare porti ed aeroporti, costruire nuoce strade e ferrovie, ad imporre le loro auto ed i propri veicoli di terra, acqua e aria, a comprare partecipazioni nell’eccellenza europea: farmaceutica, siderurgia, tecnologia, turismo ed agroalimentare. In cambio sono stati promessi accordi di facilitazioni fiscali alle aziende italiane che volessero estendere la propria operatività commerciale in Cina: Pechino ha creato, non volendo, una borghesia delusa e desiderosa di moda e prodotti che, in Cina, non hanno lo stesso appeal che nell’Occidente[4].
Così, nel 2019, il governo Conte ha firmato una serie di accordi e contratti che, nelle prossime settimane, andranno in scadenza e che Meloni (secondo me, a ragione) non vuole rinnovare. È una lista interminabile: i Cinesi di COSCO stanno brigando per acquisire il controllo (ed i guadagni) del porto di Trieste, di Taranto e di Genova[5]. Il primo, in crisi da anni, è tornato ad avere una prospettiva a causa delle nuove rotte industriali e commerciali che uniscono il nord Europa con il Golfo Persico. I Cinesi non porteranno nuovi clienti, ma prenderanno quelli che abbiamo comunque. Dei 29 miliardi promessi nelle infrastrutture industriali (come l’industria di auto elettriche a Reggio Emilia) non resta quasi nulla, se non debiti non pagati ed inchieste della magistratura[6].
L’impegno di CDP Cassa Depositi e Prestiti con la Bank of China, che prometteva nuove commesse cinesi ad ENI, Ansaldo, SNAM e Danieli, è rimasto unilaterale, mentre quello agroalimentare sulle arance e sulla carne da macello ha spalancato la porta a merci estere senza nessun controllo di qualità e che ora possono esser vendute come prodotto italiano[7]. In Italia sono arrivati 16 miliardi, ma quasi 51 sono partiti in direzione inversa – e la maggior parte di quelli investiti in Italia afferiscono ad accordi industriale e commerciali precedenti alla firma del contratto sul BRI[8].
L’effetto di questi accordi sulla bilancia commerciale è risibile. Negli ultimi quattro anni, l’unico mercato italiano che è cresciuto in Cina è quello dell’abbigliamento – tutto il resto è brevemente cresciuto ed è poi tornato ai livelli precedenti al 2019, così come pare che sarà anche a fine 2023[9]. Con la differenza che l’export italiano in Cina vale circa 50 miliardo di dollari (meno dell’import dalla Cina)[10], mentre quello italiano negli Stati Uniti vale quasi il doppio (con equilibrio favorevole all’Italia)[11].
Vero è che la Cina è in crisi, e che in questo momento la sua economia tende a contrarsi. Anche se il suo interscambio commerciale con la Francia e la Germania è maggiore rispetto a quello con l’Italia (e senza che abbiano firmato accordi vincolanti come abbiamo fatto noi), in questi anni di difficoltà cinese è cresciuto costantemente, mentre quello con altri paesi occidentali è rimasto stabile, oppure è leggermente diminuito[12].
Ma la scelta del presidente Meloni, come detto, è strategica. Meglio restare con l’Europa e con gli Stati Uniti. Rimaniamo un paese a sovranità limitata, la almeno conosciamo bene coloro che comandano e, con i decenni, abbiamo anche imparato a trattare alla pari con loro, quando fosse necessario. Non credo che questo modello sia replicabile con la Cina.
[1] https://am.pictet/it/blog/articoli/mercati-e-investimenti/belt-e-road-cos-e-e-quali-sono-gli-accordi-tra-italia-e-cina
[2] https://am.pictet/it/blog/articoli/mercati-e-investimenti/italia-cina-usa-come-cambiano-i-rapporti-con-la-nuova-via-della-seta
[3] https://www.ilsole24ore.com/art/via-seta-oggi-firma-memorandum-italia-cina-AB2KhKhB
[4] https://am.pictet/it/blog/articoli/mercati-e-investimenti/belt-e-road-cos-e-e-quali-sono-gli-accordi-tra-italia-e-cina
[5] https://pagellapolitica.it/articoli/via-della-seta-italia-governo-meloni
[6] https://www.wired.it/article/auto-elettriche-cina-silk-faw-fabbrica-emilia-mistero/
[7] https://am.pictet/it/blog/articoli/mercati-e-investimenti/italia-cina-usa-come-cambiano-i-rapporti-con-la-nuova-via-della-seta
[8] https://pagellapolitica.it/articoli/via-della-seta-italia-governo-meloni
[9] https://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=122#
[10] https://italian.cri.cn/2023/01/14/ARTInvqLvRvoGepOEcjoaPf6230114.shtml
[11] https://www.infomercatiesteri.it/paese.php?id_paesi=55
[12] https://www.startmag.it/economia/italia-cina-rapporti-commerciali-memorandum/
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