America
Elezioni USA: E ora l’establishment dem attacca la sinistra
Intervista a Dan La Botz, scrittore e attivista
Dan La Botz, 75 anni, insegnante, scrittore e attivista, è condirettore di New Politics, collaboratore di Jacobin e fondatore di Teamsters for a Democratic Union, esperto in particolare di temi inerenti il movimento operaio statunitense e messicano, su cui ha scritto numerosi saggi, ha da poco pubblicato anche un romanzo, Trotsky in Tijuana. Per capire più a fondo i risultati del voto americano, soprattutto per ciò che esso riflette della dinamica delle classi sociali e dei suoi sviluppi futuri, abbiamo deciso di porgli tre domande che riguardano il significato del voto in termini sociali, un bilancio politico della tattica elettorale della sinistra, che in queste elezioni ha deciso nuovamente di giocarsi la carta Sanders e infine i potenziali effetti del voto sul movimento sindacale e più in generale sui movimenti sociali. Cominciamo dall’analisi del voto.
Come hanno votato i diversi strati della società americana? E come si può spiegare il risultato dal questo specifico punto di vista?
Joseph Biden ha vinto le elezioni presidenziali americane ottenendo 76,4 milioni di voti, pari al 50,8%, battendo Donald Trump, che ha ottenuto 71,5 milioni di voti, pari al 47,5%. Repubblicani e Democratici sono entrambi partiti costituiti da persone provenienti da ogni classe sociale, dai più ricchi capitalisti alle classi medie, fino alla classe operaia e ai poveri.
Quasi ovunque i Democratici hanno espugnato le città e i Repubblicani hanno vinto nelle aree rurali. Trump è riuscito a conservare la sua base di circa il 40% dell’elettorato, a mobilitarla e ad accrescerla. Ha ottenuto la maggioranza degli elettori bianchi, ma anche un lieve incremento del voto dei neri e un incremento più sostanzioso tra i latinos, ma i suoi consensi sono aumentati anche tra gli LGBT.
Biden però lo ha superato. Il 90% dei neri e il 65% dei latinos ha votato Biden. Solo in Florida, dove in maggioranza i latinos sono cubani, nicaraguensi e venezuelani con posizioni politiche anticomuniste, Biden è andato male. L’ex vicepresidente inoltre è riuscito a riguadagnare al Partito Democratico un certo numero di voti nella classe operaia bianca, di donne delle periferie e di giovani.
La classe operaia è assolutamente divisa: Trump ha ottenuto il 55% dei voti tra i maschi senza titolo di studio superiore, contro il 43% di Biden. La maggioranza dei lavoratori bianchi sostiene Trump, la stragrande maggioranza dei lavoratori neri e latini ha votato Biden.
L’interrogativo del futuro è come il movimento operaio e la sinistra riusciranno a superare le profonde divisioni preenti in seno alla classe operaia.
Puoi fare un bilancio della tattica adottata dai socialisti? Per la seconda volta Bernie Sanders è stato messo ai margini dall’establishment democratico e tuttavia ha deciso ancora una volta di sostenerne il candidato, in questo caso Biden. Ha avuto senso e qual è la prospettiva?
L’estrema sinistra socialista rivoluzionaria negli Stati Uniti, poche migliaia di persone divise in un pugno di organizzazioni, perlopiù trotskiste o, in alcuni casi, neostaliniste, storicamente ha sostenuto l’idea della costruzione di un partito rivoluzionario, di un partito del lavoro o di un partito socialdemocratico o di una combinazione di queste tre opzioni tra loro. Parecchi piccoli gruppi perseguono ancora questa prospettiva. La maggior parte ha continuato a respingere l’idea di votare i Repubblicani, i Democratici e neppure il Green Party, pur schierato su posizioni di sinistra.
Altri a sinistra negli ultimi vent’anni hanno sostenuto proprio il Green Party, che qui negli Stati Uniti è un partito di sinistra ma non su posizioni socialiste e che quest’anno ha candidato come presidente l’ex camionista Howie Hawkins, schierato su posizioni apertamente socialiste, e insieme a lui Angela Walker come vicepresidente. Il miglior risultato elettorale del Green party è stato nel 2000 quando il rappresentante dei consumatori Ralph Nader ha ottenuto il 2,7% del voto, ma è stato accusato di essere costato ai Democratici l’elezione di Al Gore. Di solito il Green Party ottiene circa l’1% dei voti. Quet’anno pare non aver fatto meglio, perché la maggior parte dell’elettorato di sinistra è sembrata più propensa ad appoggiare Biden per timore di contribuire alla rielezione di Trump.
La campagna di Bernie Sanders nel 2016, quando corse come candidato socialdemocratico col programma elettorale più progressista visto dall’era del presidente Lyndon Johnson, era riuscito a ridare vita alla sinistra americana, mettendo fine al tabù postbellico del socialismo. Ai comizi di Bernie arrivarono molti giovani e decine di migliaia di loro aderirono ai the Democratic Socialists of America, che hanno sostenuto le sue campagne nel 2016 e nel 2020.
La campagna di Sanders quest’anno si è dimostrata più debole rispetto a quattro anni fa, forse perché stavolta non aveva più contro Hillary Clinton, incarnazione dell’establishment democratico. Allo stesso tempo c’erano anche altri esponenti democratici, come Elizabeth Warren, che portavano avanti programmi elettorali progressisti.
Tra i Democratici poi era molto diffuso il timore che un candidato che apparisse radicale come Sanders non fosse in grado di sconfiggere Trump. Quando Biden si è aggiudicato la South Carolina tutti gli altri candidati del Partito Democratico si sono allineati dietro di lui e Sanders è giunto alla conclusione che restare in pista non avrebbe contribuito a sconfiggere Trump e si è impegnato a sostenere Bernie.
Nella sua convention nel 2019 Democratic Socialists of America aveva approvato una risoluzione in cui si impegnava ad appoggiare Sanders, ma a non sostenere altri candidati se egli avesse perso le primarie, anche se molti esponenti di DSA hanno lavorato nella campagna di Biden a titolo individuale.
Biden e Sanders hanno creato una task force congiunta per lavorare sul programma e sulla campagna, ma in verità Sanders ha potuto esercitare una scarsa influenza. DSA aveva sperato di giocare il ruolo di ala sinistra delle forze che sostenevano la candidatura di Sanders presidente, la sinistra di unì’indata progressista. Invece ora va incontro alla presidenza Biden, cioè di un neoliberale chiamato a sovrintendere alla catastrofe sociale ed economica che sono oggi gli Stati Uniti.
L’establishment democratico sta già attaccando i progressisti e i socialisti, a cui attribuisce la magra figura fatta da Biden in queste elezioni. Progressisti e socialisti, invece, sottolineano di aver fatto meglio dei candidati democratici moderati. DSA ha appoggiato 29 candidati, dei quali 20 sono stati eletti e ha anche sostenuto 11 ballot initiatives [corrispondono all’incirca alle nostre leggi di iniziativa popolare, in occasione delle elezioni presidenziali ne sono state presentate 129 in 34 Stati].
Cosa pensi delle prospettive politiche generali e in che modo, secondo te, le elezioni possono influenzare il movimento dei lavoratori, il conflitto di classe e i movimenti sociali negli Stati Uniti?
La presidenza di Biden sarà presumibilmente connotata da quella che potremmo definire una forma di “social-liberalismo”, cioè politiche fondamentalmente liberali, a favore del business, con ampi programmi per affrontare le immediate disastrose conseguenze della pandemia e della crisi sociale. Se il suo impegno di portare avanti “un’iniziativa politica sul Covid, l’economia, i cambiamenti climatici, il razzismo sistemico” diventerà realtà dipenderà dal movimento operaio e dai movimenti sociali.
Tutti i movimenti sociali – neri, donne, LGBT, ambientalisti e movimento sindacale – si aspettano che Biden sia più attento ai loro problemi di quanto sarebbe stato Trump. Tutti guardano all’indietro a quegli anni ’30 in cui grandi movimenti sociali, soprattutto quello dei lavoratori, costrinsero il democratico moderato Franklin D. Roosevelt a intraprendere i molti programmi sociali del New Deal.
Allo stesso tempo il successo di Biden nel far approvare le leggi dipenderà da un Congresso in cui egli ha perso seggi alla Camera dei Rappresentanti e al Senato la maggioranza non è ancora decisa, perché siamo in attesa dei ballottaggi. La sinistra deve aspettarsi lunghe e dure battaglie per riuscire a strappare delle riforme e per dar vita a un movimento che si batta per cambiamenti più strutturali.
Riuscirà a crearsi nella classe operaia il sostegno che attualmente non ha? E come affrontare la profonda divisione dei lavoratori tra i sostenitori di Trump e chi invece ha votato contro? I lavoratori americani saranno capaci di dar vita a conflitti di classe come non vediamo da decenni? E i movimenti sociali riusciranno a superare il loro carattere episodico e a dar vita a forme di organizzazione più solide? Le sfide che ci attendono sono queste.
L’intervista è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 13 novembre.
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