America

Elezioni USA 2020, l’incertezza ai tempi del Covid regna sovrana

8 Ottobre 2020

Il prossimo dibattito televisivo tra i due principali candidati alla presidenza degli Stati Uniti, il presidente uscente Donald Trump e il suo sfidante Joe Biden, si terrà “in modalità virtuale”, con i candidati in due posti diversi. A comunicarlo è la commissione organizzatrice dell’evento, “allo scopo di proteggere la salute e la sicurezza di tutte le persone coinvolte”. Il confronto è in programma per il 15 ottobre.

Poco dopo l’annuncio della commissione, Trump (ancora positivo al Covid-19) ha affermato che non ha intenzione di partecipare ad un confronto virtuale, ritenendolo un favole al suo sfidante Joe Biden. Il presidente degli Stati Uniti ha precisato di non essere contagioso e di avere l’intenzione di fare un comizio quella stessa sera. Lunedì Trump è uscito dall’ospedale militare di Washington dove era stato ricoverato dopo aver manifestato i sintomi del Coronavirus. Alcuni medici avevano detto al Washington Post che dimettere Trump a breve sarebbe stato molto rischioso, sia per il rischio di contagio che per le condizione di salute del paziente. Il presidente si è sottoposto all’iniezione di anticorpi, un trattamento sperimentale le cui conseguenze sull’organismo non sono ancora note con esattezza. Del resto Trump ha sempre sottovalutato pubblicamente gli effetti della pandemia, rifiutandosi a lungo di indossare la mascherina.

Il voto del 3 novembre è carico di incertezza, collegata a fattori strutturali come l’aumento della polarizzazione politica, l’espansione del ruolo dei social media, ma è un’incertezza ampliata in misura crescente da fattori legati alla pandemia. Ci rigiriamo allo svolgimento della campagna elettorale “virtuale”, alla difficoltà per lo svolgimento del voto e alle possibili contestazioni per il voto postale, e ora inoltre c’è la positività di Trump e di parte del suo staff al Coronavirus.

A meno di un mese dalle elezioni, gran parte dei sondaggi danno in vantaggio il candidato dem, Joe Biden. Dal primo dibattito, che è risultato più una “rissa” che un confronto costruttivo, Trump è uscito un pò ammaccato. E poi c’è stato il ricovero per Coronavirus. Secondo FiveThirtyEight, Biden sarebbe in vantaggio su Trump con il 78% di possibilità di essere eletto.

Uno studio curato dall’economista Giovanna Mossetti (Centro Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo) vede una vittoria di Biden con Congresso diviso come lo scenario più probabile (45%), seguito da una vittoria di Trump con Congresso diviso (30%), da un “democratic sweep” (20%) e da un “republican sweep” molto improbabile (5%).

Biden, inoltre, resta marginalmente favorito per il voto popolare, con 8,5 punti di vantaggio nella media dei sondaggi compilata da Realclearpolitics. Tuttavia, il Presidente viene nominato dall’Electoral College, dove c’è un bias favorevole a Trump dovuto all’inclinazione relativamente più pro-repubblicana negli stati chiave rispetto alla distribuzione nazionale. Per Camera e Senato, attualmente lo scenario centrale è di Congresso diviso (Camera democratica, Senato repubblicano). Ma le previsioni per il Senato sono molto incerte e c’è una probabilità non marginale che anche il Senato passi ai democratici.

I programmi elettorali dei due candidati hanno in comune un impatto espansivo sui deficit del prossimo decennio, ma si differenziano molto in termini di misure. L’agenda di Trump si può riassumere in “meno tasse, meno spesa”, quella di Biden in “più tasse, più spesa”. Il programma di Trump prevede l’estensione dei tagli di imposta in scadenza nel 2025 e altre misure dal lato delle entrate che sarebbero pari a 1,9 tln di dollari per il 2020-30. Dal lato delle spese prevede invece una riduzione di circa 700 mld di dollari nel decennio, con un effetto netto atteso sul deficit di circa 1,3 tln di dollari. Dal lato delle uscite, i tagli principali riguarderebbero la sanità, concentrati sul programma Medicare. Anche l’assistenza subirebbe riduzioni, sia sui programmi per il supporto temporaneo delle famiglie in difficoltà sia su quelli per il sostegno alla disabilità.

La principale differenza fra i manifesti economici dei candidati sta nel grado di redistribuzione fra classi di reddito. Il piano Biden è fondato su una redistribuzione dalle classi molto alte di reddito verso quelle medio-basse, attraverso interventi sia sulle imposte sia sulla spesa. In termini di effetti previsti sulla crescita, il piano Biden più che compenserebbe l’incremento delle imposte su redditi alti e società attraverso lo stimolo alle fasce più basse e l’aumento della spesa per infrastrutture nel primo biennio del mandato.

Quanto al commercio estero, Trump proseguirebbe inasprendo probabilmente le tensioni commerciali sia con la Cina (con ulteriori incrementi dei dazi), sia con gli altri partner commerciali, che hanno ora deficit più ampi per via della deviazione dei flussi dalla Cina verso altri produttori.

La posizione di Biden nei confronti della Cina probabilmente non si discosterebbe in modo significativo da quella di Trump. Biden ha dichiarato che la Cina è un “competitor”, che dovrà essere arginato con misure che riducano l’influenza cinese nei settori della tecnologia e dell’intelligenza artificiale. Biden ha anche rifiutato di dichiarare che revocherà i dazi imposti da Trump sulle importazioni cinesi. È possibile che un’amministrazione Biden sia però meno conflittuale con la Cina su temi diversi da quelli economici e sia più aperta a cooperare su cambiamento climatico ed emergenze sanitarie.

Trump, inoltre, proseguirebbe con la linea dura per ridurre l’immigrazione, legale e illegale, con argomenti tipicamente populisti: gli immigrati portano via il lavoro ai cittadini, commettono crimini e riducono risorse disponibili (scuole, sanità, case, ecc.). Durante il primo mandato di Trump, la crescita degli immigrati è rallentata a circa 750 mila all’anno, da una media annua precedente intorno a 1 mln, e potrebbe calare ulteriormente a 500 mila in un secondo mandato.

Biden invece ha un’agenda che tutela e accoglie con favore l’immigrazione legale, con argomenti anti-populisti: gli USA sono un paese di immigrati, e in alcuni settori (tecnologia, agricoltura) gli immigrati sono essenziali per la produzione. Sarebbe probabile una moderata espansione dell’immigrazione qualificata.

Solo dopo il 3 novembre si saprà se i sondaggi avevano ragione e quale sarà il futuro degli americani e del mondo. Peraltro, le incertezze collegate al voto della pandemia, ampliate anche dai riferimenti di Trump a probabili frodi nel voto postale (che non hanno però riscontro nei dati del passato) e al ricorso alla Corte Suprema, rendono possibile una crisi istituzionale senza precedenti, con ricadute sociali, proteste anche violente e un periodo prolungato di elevata incertezza.

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