America

Ecco Jerome Powell, l’avvocato d’affari che guiderà la Fed nell’era Trump

11 Febbraio 2018

WASHINGTON – Uno dei mestieri più difficili al mondo è quello del banchiere centrale. È colpa della costante ricerca dell’equilibrio fra espansione economica, controllo degli squilibri e indipendenza dalla politica. E lo sa bene Jerome Powell, il nuovo presidente della Federal Reserve, che ha ufficialmente preso la scorsa settimana il posto di Janet Yellen. Per la banca centrale statunitense non saranno anni facili. Se Powell vorrà lasciare il segno, dovrà adottare misure impopolari, che però potrebbero minare il rapporto con il presidente che l’ha scelto, Donald Trump.

Quando pochi mesi fa circolò il trittico di nomi per lo scranno della Yellen, in molti a Wall Street furono stupiti da uno nome. Non quello di John Taylor, l’economista di Stanford che ha teorizzato la più importate regola di politica monetaria, che mette in relazione inflazione e crescita al fine di prevedere dove dovrà essere il tasso d’interesse principale. Non quello di Kevin Warsh, l’enfant prodige che a soli 35 anni venne nominato nel board dei governatori della Fed. Bensì, quello di Powell, dal 2012 nel board, e sempre piuttosto silenzioso. Parla poco con la stampa, non rilascia dichiarazioni fuori dall’ordinario, è tutto casa e famiglia. Invece, a Washington, lo stupore non era così tanto. Perché l’establishment della capitale americana era ben a conoscenza dell’influenza di Powell. A tal punto che era considerato il più importante membro del Federal open market committee (Fomc), ossia il braccio operativo della Fed, dopo la Yellen e dopo il suo vice Stanley Fischer, ex numero uno della Bank of Israel. E lo sapeva anche Steven Mnuchin, attuale segretario del Tesoro, che ha insistito affinché Trump scegliesse Jay Powell e non gli altri papabili. Detto, fatto.

La vita di Powell alla Fed non sarà però semplice. Anzi, sarà più difficile di quella che ebbe la Yellen. Primo, perché a oggi l’economia americana è vicina alla piena occupazione. Secondo, perché il potenziale di crescita nel medio periodo rischia di esaurirsi. Terzo, perché dopo un periodo così espansivo dei corsi azionari è legittimo attendersi una fisiologica correzione, come in parte sta già avvenendo da due settimane sul Dow Jones e sullo S&P 500. Quarto, perché l’incredibile approssimazione dell’amministrazione Trump nell’adozione delle politiche pubbliche rischia di avere un’influenza negativa anche sulla Fed. Quinto, perché il piano fiscale varato da Trump potrebbe scatenare uno scenario inflattivo capace di rallentare l’exit strategy dalla politica monetaria aggressiva adottata dalla Fed dopo il collasso di Lehman Brothers.

Prima di tutto, però, bisogna capire su quale traiettoria vuole porsi Powell. La Yellen era stata precisa sull’uso dei dati, micro e macro, al fine di scegliere il momento esatto per l’incremento del costo del denaro. E Powell non sarà da meno. Non è un economista, non ha un PhD in economia come i suoi predecessori. È un avvocato d’affari. Ma conosce bene i mercati finanziari e i suoi attori. Rispetto alla Yellen, spiega chi lo conosce bene, è ancora più pragmatico e meno dogmatico. Ma ha un parallelismo con l’economista di New York che ora sarà fellow di Brookings Institution, come Ben Bernanke fra l’altro: Powell sa come indirizzare i mercati verso una direzione specifica. Infatti, se torniamo indietro di alcuni anni, nei sei mesi antecedenti al primo aumento dei tassi d’interesse post Lehman Brothers, Wall Street continuava a chiedere un incremento, che invece non arrivava. Perché? Perché non vi erano le condizioni per farlo, ovvero l’economia dei dodici distretti della Fed era ancora troppo disomogenea per sopportare l’inizio del ritiro della liquidità. E invece di imbufalirsi, gli operatori dei mercati finanziari hanno ascoltato la Yellen e hanno compreso dove voleva andare a parare. Powell tenterà di fare lo stesso.

Il problema per Powell è, come detto, la condizione in cui si trova oggi l’economia americana. Come fa notare Nicholas Wall, gestore di Old Mutual Global Investors, «Powell, ha davanti a sé un compito difficile. Erediterà valutazioni altissime degli asset e un’economia che cresce oltre il suo potenziale». Ma non solo. Secondo Wall c’è anche il problema Trump: «Powell si troverà anche ad avere a che fare con un presidente alla Casa Bianca che ritiene che il benessere creato dal rialzo dei prezzi degli asset sia il migliore risultato della sua – molto più che controversa – presidenza». Il pericolo è quindi che – dato il carattere mite e il basso profilo di Powell – possa essere un fantoccio? Per Wall non c’è questo pericolo. «Powell sarà il nuovo Arthur Burns, il cui mandato fu fortemente influenzato dal presidente Richard Nixon? O difenderà con vigore l’indipendenza della Fed? Noi crediamo nella seconda opzione», conclude. A trarne giovamento sarà l’intera America.

A oggi i fondamentali supportano bene l’espansione economica statunitense e il target d’inflazione, due punti percentuali, è in vista. Ma cosa succederà qualora il piano fiscale di Trump abbia effetto e dunque produca inflazione salariale? A quel punto, Powell avrà di fronte a sé due possibilità. O rallenta la stretta sulla liquidità esistente, mostrando il fianco a chi non lo ritiene abbastanza tenace per proteggere l’indipendenza della banca centrale da Trump, che invece punta al massimo risultato economico possibile durante il suo mandato in vista della prossima campagna elettorale. Oppure, continua sul percorso tracciato dalla Yellen, incurante delle pressioni di Trump. A oggi la comunità diplomatica di Washington è sicura che Powell non permetterà che ci siano ingerenze di alcun tipo sulle decisioni di politica monetaria. Conoscendo però il carattere schizofrenico e lunatico del presidente americano, non bisognerebbe stupirsi in caso inizi un lungo braccio di ferro tra Fed e Casa bianca. Se Trump pensava di essersi garantito una voce alla Fed scegliendo Powell e sbarazzandosi della Yellen, presto dovrà rendersi conto del suo errore.

 

Immagine di copertina tratta da Flickr.com

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