America

Donne che hanno fatto grande l’America: Nellie Bly

12 Ottobre 2024

“Se non puoi essere un pino sul monte, sii una saggina nella valle, 

ma sii la migliore, piccola saggina sulla sponda del ruscello.
Se non puoi essere un albero, sii un cespuglio.
Se non puoi essere un’autostrada, sii un sentiero.
Se non puoi essere il sole, sii una stella.
Sii sempre il meglio di ciò che sei.
Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere.

Poi mettiti con passione a realizzarlo nella vita” (Martin Luther King)

 

Riuscirà Kamala Harris a farsi eleggere primo presidente donna della storia degli Stati Uniti?

Se ci riuscirà dovrà ringraziare una folla di donne disobbedienti e audaci che l’hanno preceduta, donne che hanno spezzato il potere patriarcale di una nazione che è ancora in cerca di sé stessa quanto a diritti sociali, civili, parità di genere e giustizia.

Per trovare una di queste donne cui dovrà un “grazie” Kamala Harris, possiamo andare con l’immaginazione al molo di New York la mattina del 14 novembre 1889. Sta per salpare l’Augusta Victoria con a bordo una giornalista, che intende realizzare un reportage d’eccezione, dal nome d’arte Nellie Bly, all’anagrafe Elizabeth Cochran.

Ha dovuto negoziare a lungo col suo direttore la possibilità di viaggiare, ha avuto solo 48 ore per preparare il bagaglio e ha dovuto mobilitare con urgenza una sarta per avere un vestito su misura adatto all’impresa.

L’abbigliamento per le donne del suo tempo traduce esattamente il ruolo delle donne pensato dagli uomini: crinoline, corsetti e sellini devono limitare piuttosto che favorire i movimenti. L’esistenza delle donne deve essere statica e controllabile.

Ciò che Nellie sta per compiere è un’impresa destinata a rompere decisamente con queste regole di sottomissione. É cresciuta da piccola con il mito del romanzo di Jules Verne, Il giro del mondo in 80 giorni.

Molti si chiedono in quel momento se c’è qualcuno che può metterci meno di 80 giorni. Ma nessuno immagina che potrebbe essere una donna da sola, senza uomini al seguito.

Quando Nellie sbarca, alla fine del viaggio, a San Francisco il 21 gennaio 1890 viene accolta come un’eroina. Ha impiegato 72 giorni, 6 ore, 11 minuti e 14 secondi. Le sue foto sono dovunque. Nelle vetrine dei negozi compaiono le bambole Nellie, su di lei viene scritta una canzone e il suo viaggio diviene un gioco da tavola.

Nellie era nata a Burrel, Pennsylvania, nel 1864, terza di cinque figli di seconde nozze. Michael Cochran, il padre, ricco commerciante molto stimato dalla comunità, ne aveva avuti altri 10 dal primo matrimonio.

Michael muore che lei è ancora una bambina. Giungono subito difficoltà economiche. La madre decide di risposarsi con John Jackson Ford, un alcolista violento. Gli anni turbolenti della convivenza fino al divorzio della coppia, insegnano a Nellie che la sua indipendenza viene prima di tutto e che lei, a differenza della madre e di molte altre donne dell’epoca, avrebbe cercato autonomia e libertà. Non si sarebbe fatta confinare negli angusti spazi del destino femminile: fabbrica come operaia, casa come madre e sposa. Sogna di fare l’insegnante, ma le difficoltà economiche della famiglia la costringono a rinunciare al sogno.

Per anni deve arrangiarsi con lavori saltuari.

Elizabeth ogni giorno apre una sua finestra sul mondo, legge il Pittsburg Dispatch, uno dei più vecchi quotidiani della città. Nel 1885 invia una lettera al giornale in risposta a un articolo di Erasmus Wilson, che relega il ruolo della donna alla sfera domestica.

La lettera firmata Lonely Orphan Girl sta quasi per essere cestinata, ma Wilson decide di passarla al direttore, George Madden. Madden ne rimane colpito per gli argomenti puntuali. Cerca la “piccola orfana solitaria” e la invita in redazione per proporle un lavoro retribuito.

Durante i due anni al Dispatch, Nellie inaugura un nuovo tipo di giornalismo: quello delle inchieste sotto copertura. A interessarla sono soprattutto le categorie sociali più deboli, prive di mezzi e con pochi diritti.

Le difficoltà a cui il giornale va incontro perché i suoi pezzi sono militanti e acuti, la inducono a partire per il Messico insieme alla madre per raccontare il paese ai lettori del Dispatch. L’esperienza si conclude con la sua espulsione perché in un articolo critica il governo del presidente, Porfirio Diaz, ma sarà la prova del viaggio intorno al mondo di qualche anno dopo.

Nel 1887 si trasferisce a New York. Bussa con spregiudicatezza alla porta del New York World di Pulitzer. Nessuna donna aveva osato tanto, ma concorda un’inchiesta sul manicomio femminile di Blackwell Island che convince il direttore e viene assunta. L’indagine passerà alla storia. Finge di essere pazza per farsi internare e raccontare così un luogo inaccessibile. I suoi racconti dell’orrore che regna in quel luogo costringono l’amministrazione cittadina a prendere provvedimenti che avrebbero migliorato anche altri sistemi di reclusione come carceri e istituti assistenziali.

Al World Nellie è inarrestabile e mette a segno indagini memorabili convinta che lo scopo del giornalismo sia quello di apportare cambiamenti positivi nella società: sotto copertura indaga e racconta lo sfruttamento delle operaie, la vita dei bambini non desiderati, le condizioni di lavoro delle domestiche.

Nellie è l’incubo di politici e benpensanti.

Nel 1895 si sposa con il ricco industriale Robert Seaman e dà un’ennesima svolta alla sua vita.

Dal 1899 al 1911 guida l’azienda del marito (che muore nel 1904). Svestiti i panni della giornalista, indossa quelli della manager.

Dopo l’ennesimo rovescio di fortuna, a causa del quale si ritrova coinvolta in una battaglia legale, inseguita da banche e creditori, nel 1912 torna a scrivere per un grande quotidiano, l’Evening Journal, e allo scoppio della Prima guerra mondiale, trovandosi già in Europa, parte per il fronte orientale come corrispondente di guerra.

Per un anno si impegna a raccogliere fondi per vedove e orfani.

Trascorre gli ultimi anni della sua vita lavorando per il Journal, dove tiene una rubrica in cui dispensa consigli, riflette sui temi e le domande che gli vengono sottoposte, ma soprattutto fa quello che gli riesce meglio: sfruttando la sua fama, mette in contatto chi ha bisogno di aiuto con chi può offrirlo. Muore di polmonite nel 1922.

Oggi la ricordiamo come una giornalista intrepida, armata del proprio sguardo libero e della parola tagliente, impegnata nella tutela e nell’aiuto dei più poveri, capace di infrangere limiti, disobbedire a regole e convenzioni e che ha lasciato un mondo più libero di come lo aveva trovato.

0 Commenti

Devi fare login per commentare

Login

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.