America

Donald Trump: la supernova del sogno americano

9 Novembre 2016

Risvegliandomi stamane in una Boston scioccata quanto me dal risultato elettorale, il primo pensiero e’ all’Europa e alle reazioni dell’intellighenzia continentale su quanto accaduto. Leggendo qua e la’ commenti su vari siti (per lo piu’ italiani o tedeschi) mi sono reso conto che una sola cosa supera le fesserie di Trump: le fesserie su Trump e in particolare sulla sua strabordante vittoria. Mi permetto di citarne e smentirne alcune:

 

Il trionfo di Trump e’ la lotta di classe contro le elite

 

(Vedi: http://www.linkiesta.it/it/article/2016/11/09/il-trionfo-di-trump-e-la-lotta-di-classe-contro-le-elite/32318/)

 

Ma quale lotta di classe? Basterebbe guardare i dati per rendersi conto che non c’e’ assolutamente nessun criterio etnico, salariale, generazionale o quant’altro che definisca univocamente l’elettore di Trump. Ce n’e’ per tutti i gusti e per tutti i portafogli. Per esserci lotta di classe ci deve essere classe (e, aggiungerei, coscienza di classe, almeno accennata). Mi pare che qui si tratti di sogni tipicamente Europei proiettati su una societa’ che di Europeo (chiariamolo una volta e per tutte) non ha nulla, ma proprio nulla.

 

Trump e’ un populista come Grillo, Salvini, Le Pen, etc.

 

Ammettiamo pure che Trump sia un populista (posto che non ho ancora letto o sentito una definizione chiara e distinta di ‘populista’), ma guardiamo anzitutto i fenomeni. Trump ha preso il potere in sella a un partito che piu’ tradizionale non si puo’ e che, al di la’ dei mal di pancia iniziali, di fatto lo ha sostenuto. Non sto parlando delle primedonne di partito ancora doloranti dopo le primarie, bensi’ della base e, ovviamente, anche di una fetta non indifferente dell’establishment. Inoltre, al di la’ della evidenti farraginosita’, il suo ‘programma’ non ha nulla di rivoluzionario. Meno tasse, piu’ sicurezza, piu’ competizione, tagli alla spesa pubblica… certo, non c’e’ traccia (almeno a parole) dell’interventismo in politica estera dell’era Bush, ma siamo che l’interventismo sia nel DNA repubblicano? Ricordiamo chi ritiro’ le truppe dal Vietnam (scil. Richard Nixon, repubblicano)? E chi si spese per la de-escalation con l’URSS (scil. Ronald Reagan, repubblicano)? L’equazione repubblicano = interventista e’ una parentesi dell’era Bush (padre prima e figlio poi), quindi la virata isolazionista di Trump e’ molto piu’ classicamente repubblicana di quanto noi di memoria corta ci aspetteremmo.

 

Chi traccia parallelismi improbabili con Grillo dovrebbe chiedersi: che ne e’ della democrazia diretta in Trump? Degli afflati ambientalisti? Della trasparenza e onesta’ (vedi dichiarazioni dei redditi del fulvo magnate)? Non scherziamo, suvvia.

 

Inoltre, la retorica anti-immigrati e’ solo superficialmente coincidente con quella degli agitatori della destra europea. Quest’ultima evoca lo spauracchio identitario, paventando una societa’ europea islamizzata. In Trump questo argomento e’ quanto meno minoritario. Il problema percepito dell’immigrazione da sud in America e’ legato alla microcriminalita’ e al narcotraffico. Nessuno teme che l’America si ‘messicanizzi’. Quanto all’Islam, e’ vero che Trump ha usato parole di fuoco e ha sfruttato abbondantemente lo spettro del terrorismo. Ma l’immigrazione islamica in America e’ talmente minimale da essere di fatto trascurabile. Sicuramente la potenza retorica dello spettro islamista e’ forte qui come in Europa, pero’ sebbene i musulmani stiano antipatici quanto a Trump tanto alla LePen o a Salvini, questa antipatia non mi pare plausibile come argomento per considerarli sovrapponibili da un punto di vista strettamente politico.

 

E’ colpa della sinistra

 

Tra le varie perle, si leggono qua e la’  mea culpa da sinistra. L’idea e’ che se prendono il potere personaggi come Trump e’ perche’ la sinistra non e’ piu’ capace di catalizzare e rappresentare il disagio dei perdenti della globalizzazione. La questione e’ complessa quindi mi limito a una tesi. Se il problema e’ la globalizzazione (e ci sono buone ragioni per ritenere che lo sia), e se la critica al mondo globalizzato e ai suoi protagonisti e’ il catalizzatore del consenso popolare, la destra avra’ sempre e comunque una marcia in piu’ della sinistra. La destra si appella all’idea di piu’ semplice comprensione e di piu’ efficace contrapposizione al mondo globalizzato: la nazione. Un’idea semplice ed efficace come quella di nazione da contrapporre alla globalizzazione la sinistra semplicemente non ce l’ha e non puo’ avercela. Gli ideali di sinistra sono intrinsecamente cosmopoliti e internazionalisti. Anche qui occorre ricordare che il matrimonio di comunismo e nazionalismo che ha caratterizzato la Russia sovietica prima e la Cina maoista poi, sono delle bizzarrie della storia. “Lavoratori di tutto il mondo unitevi” incitava Marx. Ma una coscienza di classe mondiale di questi tempi e’ una chimera. Il mondo e’ popolato da lavoratori solitari e arrabbiati, che faticano ad arrivare alla fine del mese e trovano piu’ facile aggrapparsi all’unica cosa che nessun padrone potra’ mai strappargli di dosso, la presunta identita’ nazionale, piuttosto che al sol dell’avvenire, di cui non intravedono nemmeno l’albore. Quindi non e’ “colpa” della sinistra. Se la partita politica del futuro si gioca sulla critica alla globalizzazione, le destre ce le terremo per molti anni a venire.

 

E’ una questione economica

 

Il problema non e’ l’economia. L’economia americana, rispetto a quella europea, va a gonfie vele. Il problema e’ una sorta di ipocondria culturale e antropologica che ha preso questa societa’ americana in caduta libera. E’ difficile chiarire di che si tratta, ma e’ una sensazione percepibilissima per chi vive qui. La ragion d’essere, il collante culturale della societa’ americana, al netto delle sua insanabili differenze, e’ sempre stato l’ideale del successo, inteso come ricchezza e benessere. Non importa il colore della pelle, il credo, la provenienza. Se ti impegni e fai sacrifici puoi arrivare in cima, anche partendo da zero. Tutto questo e’ finito per sempre. Il collante si e’ sciolto. Nessuno ci crede piu’. Donald Trump si e’ presentato come incarnazione di quello che fu l’ideale portante di un Paese, promettendo di riabilitarlo. Ma occorre non farsi ingannare. La fase di massima luminosita’ di una stella si raggiunge quando essa esplode, diventando cosi’ una supernova. Ma a quel punto dietro la luce accecante non c’e’ piu’ nulla. Ecco una metafora che puo’ forse aiutare a comprendere il fenomeno Trump: non e’ che la supernova del sogno americano.

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