America

Dirty Donald: elegia di Clint Eastwood e del sogno americano

3 Marzo 2016

Clint Eastwood non è Walt Kowalski. Il grande cineasta che oggi simpatizza per Donald Trump sembra avere poco in comune con l’indimenticabile protagonista di Gran Torino. Contro l’aspirante Presidente che propone di tracciare i migranti con un chip, il vecchio Walt, ex operaio Ford reduce dalla guerra di Corea, non esiterebbe ad imbracciare il fucile. Clint, invece, lo preferisce a Barack Obama e, nonostante tutto, lo vorrebbe alla Casa Bianca. Per chiunque abbia amato la filmografia di Clint Eastwood – tutta la sua filmografia, nessuna pellicola esclusa – è una pugnalata al cuore. Il regista di Mystic River o Lettere da Iwo Jima non può lasciarsi suggestionare da chi promette un muro tra gli Stati Uniti e il Messico.

Ne siamo così sicuri?

Repubblicano da sempre, Eastwood si definisce un libertario agnostico che “medita due volte al giorno”. Nel 1992 si schierò con Ross Perot, il terzo incomodo ultraliberista che strappò il 19% dei consensi nell’anno della vittoria di Bill Clinton su George Bush padre. Nel 2012 è entrata nella storia la sua performance a sostegno di Mitt Romney durante la convention repubblicana di Tampa quando si scagliò contro Barack Obama dialogando con una sedia vuota. Abortista, favorevole ai matrimoni gay e all’eutanasia, Clint Eastwood è vicino all’umanità lucida del Frankie Dunn di Million Dollar Baby e, sui temi dei diritti civili, si è sempre dimostrato più liberal di tanti democratici.

E oggi sostiene Donald Trump.

Eppure Eastwood è un uomo vero e, quindi, non un uomo tutto d’un pezzo. Contano le sfumature. L’icona di Dirty Harry non si è mai lasciato incastrare dai suoi personaggi. Sono due le cose che ha sempre sfuggito come la peste: la catalogazione e l’estremismo. Le soluzioni più semplici sono sempre troppo semplici per essere pure vere. Gli estremisti ricercano rassicurazioni e non si curano di osservare le cose da un altro punto di vista o anche solo domandarsi se esiste. Questo è l’Eastwood che ha girato alcuni capolavori assoluti della storia del cinema. E che ora sostiene Donald Trump.

Perchè non dovremmo più fidarci di lui? Perchè essere così certi che sia ormai diventato un vecchio rincoglionito che tradisce la sua opera e chi in essa continua a riconoscersi?

Forse la realtà, come direbbe Clint, è molto più complessa e sfugge alle catalogazioni. E allora, come ne Gli spietati, l’unica è partire dalle basi. Ad esempio, dal genere per antonomasia: il vecchio e caro Western.

Donald Trump è un imbonitore. Quando qualcuno ha voluto utilizzare questo argomento contro di lui, l’ha soltanto reso più forte. Per chi ancora non l’avesse capito, ricordargli da dove viene e che razza di persona ambigua e contraddittoria sia fa solamente il suo gioco.

Immaginiamo per un attimo i suoi occhi furbi e il suo ghigno sghembo in un’inquadratura strettissima di uno spaghetti western. Un “Leone”, come direbbe Quentin Tarantino al suo direttore della fotografia per rendere più in fretta l’idea. Donald Trump sarebbe a metà strada tra Eli Wallach e Lee Van Cleef: né solo brutto, né solo cattivo, ma molto molto di più.

Quel di più sfugge a tanti, ma forse non al vecchio Clint. In Trump deve aver visto il caratterista che è lontano da ogni caratterizzazione e può essere il vero protagonista quando l’inquadratura si allarga. Parla alla pancia dell’America? Forse. Ma è la stessa pancia solleticata (e affamata) per anni dal quel Grand Old Party che ora è terrorizzato all’idea di ritrovarselo davvero in lizza per la Casa Bianca. Trump è la risposta sbagliata ad anni e anni di sbagli. Il razzismo, il maschilismo e il fascismo di Donald Trump non sono dettagli, ma viviamo in tempi così bui che potrebbero diventarlo. Hillary farebbe meglio a non sottovalutare la sua forza.

Ma il vecchio Clint non è uomo che si lasci spaventare dalle sfumature. Donald Trump non lo rappresenta, ma incarna la delusione per un’America che, nell’immaginario di un libertario agnostico cantore dell’umanità più profonda del proprio Paese, ha smarrito da tempo la strada. Non è un caso che l’autore di American Sniper non sia mai stato favorevole alle guerre per esportare la democrazia. L’isolazionismo è un buon inizio. Un po’ come meditare due volte al giorno.

L’America che si sente tradita ripiega su se stessa, sulle sue paure più profonde. Per questo non ne ha alcuna di Donald Trump. E uno come Clint Eastwood, scrutatore instancabile di un Paese che ai suoi occhi sta andando in frantumi, forse ha finalmente trovato un colpevole. Non resta che mandare qualcuno ad inseguirlo. Che sia Donald John Trump, a questo punto, è solo un dettaglio.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.