America
democrazia portami via
La notte delle elezioni presidenziali americane sono andata a dormire con una doppia preoccupazione: la prima, che Donald Trump potesse vincere; la seconda, che vincesse Hillary Clinton, ma che il suo rivale non ne riconoscesse la vittoria.
Pochi giorni dopo, lo scenario è ancora peggiore di quello che potevo immaginare: Trump è il nuovo Presidente degli Stati Uniti e gli elettori del Partito che si chiama “Democratico” scendono per le strade in tutto il Paese, rinnegando l’esito delle elezioni con lo slogan “Not My President“. Va notato che i manifestanti non lamentano brogli elettorali, né contestano una qualche presa di posizione del nuovo Presidente: se la prendono proprio con il risultato del voto. Qualcosa di simile era accaduto all’indomani del referendum inglese su Brexit: i cittadini favorevoli al “Remain” avevano manifestato contro il verdetto delle urne, milioni di loro avevano firmato una petizione che chiedeva che la consultazione venisse ripetuta e qualcuno si spingeva fino a ipotesi di secessione.
C’è davvero da allarmarsi se gli elettori arrivano a contestare un risultato contrario alle loro speranze, come tifosi di una squadra di calcio che se la prendono con l’arbitro: a traballare non è solo la pacifica coesistenza di visioni politiche diverse, ma l’esistenza stessa delle istituzioni democratiche.
C’è ancor più da inquietarsi se sono gli stessi protagonisti della contesa a soffiare sul fuoco: Trump aveva preannunciato l’intenzione di non riconoscere l’eventuale vittoria della Clinton e questa ha a sua volta rinviato il momento del “concession speech”; da parte sua, Bernie Sanders ha alluso al fatto che il nuovo Presidente ha vinto, ma non nel voto popolare (in termini assoluti, alla candidata Democratica sono cioè andati più voti di quelli del vincitore Repubblicano), lasciando intendere che la legittimazione del neoeletto inquilino della Casa Bianca è in qualche modo “indebolita”.
Il triste presagio di questi eventi è che l’ondata populista, che pare travolgere in modo inarrestabile l’Occidente, abbia superato il livello di guardia della semplice antipolitica, tracimando in una vera e propria “antidemocrazia”: perché ribellarsi all’esito del gioco democratico, magari contestandone a posteriori le regole, significa negarne tragicamente lo stesso senso.
Di fronte a tutto ciò, il nostro arrabattarci sulle modifiche alla Costituzione potrebbe sembrare anacronistico: al contrario, è quanto di più vitale ci possa appassionare, se vogliamo salvaguardare le fondamenta della nostra convivenza civile
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