America
Dall’altra parte dell’America
Se c’è una cosa che più delle altre il coronavirus evidenzia, al di là della tragedia delle vite umane interrotte, è il fatto che tutti gli stati appaiono indifesi contro la pandemia a cui ha dato luogo. Altra cosa è, invece, la gestione dell’emergenza e la strategia per venirne fuori, che, naturalmente, si differenziano in tutto il mondo.
Va da sé che anche le super potenze vengono messe in ginocchio da un microrganismo infettante, e, seppure dotate di tecnologie avanzatissime e infallibili sistemi di difesa, non sono provviste, evidentemente, di una rassicurante organizzazione sanitaria parimenti funzionale e a protezione di ogni evenienza, come se la salute dei cittadini non avesse un’importanza fondamentale. Forse, sarebbe ora che le nazioni più avanzate spendessero le loro forze per la salvaguardia della salute, sottraendo risorse alla ricerca di armi nucleari sempre più sofisticate e al mantenimento di eserciti super accessoriati.
Gli Stati Uniti, per esempio, registrano un nuovo record di decessi per il coronavirus. I dati forniti dalla Johns Hopkins University rivelano che sono morte 1.150 persone nelle ultime 24 ore, raggiungendo il numero sconcertante dei 10.783 decessi. Mentre i contagiati sarebbero quasi 400mila. Ciònonostante, il presidente Donald Trump continua a ostentare una sicumera fuori luogo, elargendo ottimismo in quantità massicce. “L’helicopter money” che agita a ogni piè sospinto può, in teoria, limitare il danno economico, ma non mette nessuno al riparo dall’attacco letale del virus.
Resta incredibile come una pandemia possa azzerare i valori politici, economici ed etici sparsi per il pianeta, mettendo a nudo la fragilità e i limiti dell’intera umanità. Forse, oggi, più che mai, quell’America che ha sempre aspirato all’intelligenza, intesa come dote morale, generatrice di sogni e culla di evoluta democrazia, gigante assoluto della storia geopolitica mondiale, non è altro che un colosso d’argilla che rischia di venire giù di fronte a un fatale microscopico organismo.
Abbiamo visto troppi film in cui l’eroe americano mostra virile serietà, coraggio e rettitudine. Siamo abituati all’ironia distinta di Woody Allen, alla bellezza morale di Julia Roberts. Leggiamo i libri di un talento come Philip Roth. Ascoltiamo il soul, il blues, il jazz. E tutto ci riporta a un luogo dove il gusto è tenuto in grande considerazione per intraprendere qualsiasi cosa.
Un gusto per la giustezza delle azioni, delle decisioni, delle valutazioni che l’America di Trump sembra aver disperso definitivamente, accantonando, in un momento critico senza pari, le fasce più deboli della società: persone con disabilità, anziani e poveri di ogni sorta. L’America è ancora il più grande paese del mondo? Una volta gli americani davano la sensazione di lottare per cause giuste. Guardavano al progresso come partecipazione collettiva; avevano in uggia la povertà, non i poveri; premiavano il lavoro e il sacrificio; decretavano il successo dell’estro al servizio dell’umanità. Nessun Presidente li aveva mai divisi in categorie.
Oggi, l’America, a guardarla dall’esterno, dà la netta sensazione di essere un paese troppo cinico per poter aspirare a essere da esempio per il resto del mondo. E, quel che è peggio, si rivela con i nervi tesi e vulnerabile. Forse troppo per il ruolo che riveste nel mondo.
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