America
Cosa rivela la firma di Trump? (Pamphlet n. 3)
Ricordo che, subito dopo le precedenti elezioni americane, al luminare della psicologia Dan P. McAdams, chiarissimo professore alla Northwestern University, fu affidato il compito, dal prestigioso magazine statunitense “The Atlantic”, di venire a capo della personalità del 45esimo presidente degli USA, Donald Trump. Da lì in poi altri professionisti del settore si sono espressi sulla sua personalità, evidenziando disturbi di ordine narcisistico non indifferenti. Chi è veramente Trump? Cosa si nasconde dietro la sua maschera arancione? “Posso discernervi davvero poco che vada oltre le sue motivazioni narcisistiche e la narrativa personale del vincere a ogni costo”, osservò l’esperto, di cui prima, che aggiunse: ” È sempre Donald Trump che recita Donald Trump. In lotta per vincere, ma senza mai sapere perché”.
Chissà se l’eccelso psicologo, così come gli altri specialisti, delineando una personalità tanto scorbutica e per tanti versi grottesca, ne avranno preso in considerazione, anche solo per un istante, la firma? Quella dell’attuale titolare della Casa Bianca è davvero sintomatica. E dice tanto del personaggio, o, semplicemente, come avviene qui, si presta che è una meraviglia al gioco dell’interpretazione del suo carattere. Mica bisogna essere per forza un grafologo per restarne impressionati? Per l’occhio cavato di Odino, ma l’avete vista bene?! Osservatela attentamente per un istante. Somiglia al tracciato ottenuto dal tremolio di un sismografo! A scelta e, grossomodo, rimanda anche all’encefalogramma di una persona abbastanza agitata. Pare ovvio che “l’orange man” della “White House” non scriva allo stesso modo di come firmi, avvertendo, egli, il bisogno di estendere nell’autografo un tracciato che richiami una sorta di marchio araldico, come a esprimere intenzionalmente l’appartenenza a una grandeur napoleonica, di uomo forte, anzi fortissimo, di comandante imperiale, tanto per intenderci.
Ecco, nella firma di Trump io vedo tutta la triste comicità del potere e, al contempo, la sua espressione più inavvertitamente imprudente e rovinosa. Nella propria firma, il Trump-robot mette un’attenzione particolare, concentrandosi come si fa per un pensiero complesso e profondo, fino a spremere le meningi e a sospingerle verso la corteccia cerebrale per dar modo, strategicamente, alla materia grigia di guidare la mano verso il compimento dello scarabocchio presidenziale, concepito come l’opera d’arte di un condottiero di genio, invincibile, invulnerabile, in… stato di disturbo psichico.
L’ordinario segmento anagrafico, esibito come il design del secolo, viene ad assumere, così, nella sua superba estensione e ostentazione, il tratto di un logo di regime che si erge a tragicomico simbolo di potere, nel tentativo mal riuscito di evocare la solennità estetica della bolla papale da inquisizione, stabilendo tra un qualsiasi iniquo decreto da firmare e la firma stessa una corrispondenza ideale. Quale segnatura potrebbe incastrarsi cosi bene con il contenuto di un provvedimento che dispone discriminazioni di ordine etnico e sociale se non quella che raffigura la firma di Donald Trump?
Al di là delle descrizioni ludiche, restano le domande. Quando il presidente degli States mette nero su bianco il suo nome e cognome, cosa sta dicendo a se stesso e al mondo? Ciò che è, che sarà, o che vorrebbe essere? La firma rivela i suoi propositi, le sue ambizioni, o, semplicemente, le sue manie? Oppure, in ultima analisi, è soltanto un’impronta digitale che afferma l’identità caricaturale di un uomo, finito in maniera accidentale sul trono più alto del mondo e che ora farà di tutto per restarvi?
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