America
Congresso USA, chi sarà il prossimo Speaker della Camera?
Che il Partito Repubblicano fosse da tempo sull’orlo di una crisi di nervi non è una novità. Ma ormai siamo al limite dell’ospedale psichiatrico. Non solo si assiste difatti a una turbolenta gazzarra tra i candidati alla nomination. Ma anche dalle parti del Congresso le cose non sembrano andare in modo esattamente pacato. Proprio quel Congresso dove, in occasione delle midterm elections del 2014, l’Elefantino è paradossalmente riuscito a impossessarsi della maggioranza in entrambe le camere.
Il conflitto ideologico e generazionale che pervade da alcuni anni le fila del GOP è difatti ormai esplicito e tesissimo. La destra radicale, rappresentata dalla religious right e – soprattutto – dal Tea Party, ha esteso sempre più la propria influenza all’interno del partito, arrivando ad accesi picchi di polemica nei confronti del suo establishment. Una destra radicale che ha ulteriormente rafforzato la propria posizione interna a partire dalla sconfitta di Mitt Romney nel 2012: un evento a dir poco catastrofico che ha messo sul banco degli imputati i big del partito, accusati di incapacità e arrendevolezza verso le politiche obamiane.
Da allora, è stato un susseguirsi di scontri intestini: dalla violenta battaglia sullo shutdown nel 2013, allo scontro tra Cruz e McConnell quest’estate sull’Obamacare, sino ad arrivare all’attuale questione di Planned Parenthood (in virtù di cui l’ala radicale del GOP minaccerebbe nuovamente lo shutdown, qualora non vengano tagliati i finanziamenti federali alla controversa onlus pro-choice).
In tutto questo caotico marasma, lo scontro ha finito col coinvolgere i vertici stessi del Congresso, in particolare lo Speaker della Camera: John Boehner. In carica dal 2011 (dopo essere stato capogruppo repubblicano per diversi anni), Boehner è da sempre stato bersaglio della destra radicale che l’ha più volte tacciato di centrismo tendente all’inciucio col nemico democratico. Una battaglia lunghissima che si è conclusa due settimane fa con l’annuncio delle sue dimissioni dall’incarico. Gli ultraconservatori non hanno perso tempo: hanno subito rivendicato l’accaduto come una propria vittoria, facendo inoltre sapere di essere intenzionati a dire la loro sulla designazione del candidato a succedergli.
L’establishment, dal canto suo, ha cercato di non farsi cogliere impreparato. E difatti ha subito puntato sull’attuale leader della maggioranza, Kevin McCarthy. Sennonché, ai radicali è parso una sorta di Boehner-bis e non ne hanno voluto sapere. Prima quindi è sceso in campo Jason Chaffetz (deputato dell’Utah), asserendo di essere la persona giusta per guadagnare il voto dei conservatori duri e puri. Poi McCarthy con una dichiarazione (in cui pare lasciasse intendere la strumentalità politica della Commissione Bengasi alla Camera per il solo fine di colpire Hillary Clinton) si è attirato addosso una bufera di polemiche. Risultato: ha annunciato il proprio ritiro dalla candidatura a Speaker. E adesso? Paralisi.
Come nota oggi Glenn Thrush su Politico, pare proprio che nessuno voglia saperne di candidarsi a Speaker della Camera. Il motivo? Siamo in piena campagna elettorale e i candidati anti-sistema sembrano al momento i favoriti (Trump e Carson sono in testa ai sondaggi, Ted Cruz non è in vetta ma resta comunque a galla). In quest’ottica, sedere sul più alto scranno della Camera equivarrebbe ad essere ipso facto considerati espressione dell’odiatissimo establishment: col risultato di trovarsi sulla graticola come capitato al povero Boehner. Alle prese, cioè, con un partito spaccato e pronti ad essere sostanzialmente defenestrati da un momento all’altro. Nessun deputato in carriera, con ambizioni presidenziali (magari anche non nel brevissimo termine) avrebbe dunque interesse oggi a ricoprire il ruolo (senza poi contare che è dai tempi di James K. Polk che uno Speaker della Camera non diventa presidente e che le stesse mire presidenziali di Boehner sembrano ormai definitivamente compromesse).
Proprio per questo, le pressioni che il GOP sta esercitando in queste ore su Paul Ryan per convincerlo a candidarsi sembra non stiano sortendo un grande effetto. Eppure potrebbe essere – secondo molti – la figura di sintesi necessaria per riunire (o comunque riuscire a far dialogare) le variegate e spiritate correnti dell’Elefantino. Cattolico liberista e ultraconservatore sui temi etici, Ryan si presentò in ticket con Mitt Romney nel 2012, per cercare di accattivargli le simpatie delle ali più destrorse che vedevano il mormone come uno scialbo centrista. Sennonché, come detto, qui la questione è più di immagine che di contenuto: il semplice accettare l’incarico di Speaker in seno a questa guerra fratricida tra repubblicani può costare l’accusa di tradimento. Anche Boenher del resto accedette all’incarico con un curriculum ideologico-politico nettamente conservatore (soprattutto sulle questioni etiche). E si è visto com’è finito.
Difficile capire se i dinieghi espressi da Ryan siano sinceri o frutto di una strategia che lo porterà infine ad accettare. Ma siamo sicuri che un giovane ambizioso come lui correrà il rischio di una nomina che –per quanto indubbiamente prestigiosa – potrebbe politicamente condurlo sull’orlo del precipizio? Chissà. Ma una domanda comunque si staglia all’orizzonte. Non è che alla fine si imporrà proprio Trey Godwy, il grande inquisitore di Hillary Clinton a capo della Commissione Bengasi? La notorietà mediatica la ha e sembra apprezzato dai radicali, per i quali chiunque parli male dell’ex first lady diventa automaticamente un benemerito. E lo stesso Boehner alcuni giorni fa – secondo alcune indiscrezioni – avrebbe cercato di convincerlo a candidarsi. Staremo a vedere. In caso però dovrebbe rifarsi il guardaroba. Le cravatte che si mette sono proprio inguardabili.
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