America
Clinton vs Trump: l’ultimo round tra due Americhe più lontane che mai
Era iniziato abbastanza bene: calmo, a tratti duro, comunque misurato e presidenziale. Ma è durata poco. Il terzo e ultimo dibattito tra Hillary Clinton e Donald Trump, tenutosi stanotte a Las Vegas, è presto scivolato in un battibecco cattivo: senza esclusione di colpi.
Nel corso della prima parte, i due rivali hanno giocato a fare i presidenti. Hillary ha mostrato un volto tendenzialmente destrorso, votato al moderatismo, con l’obiettivo di parlare principalmente all’elettorato di centro. Trump, dal canto suo, ha invece cercato di rivolgersi maggiormente alla destra repubblicana che ancora non si fida completamente di lui, sostenendo alcuni capisaldi ideologici e politici del conservatorismo statunitense. In particolare, ha difeso a spada tratta il II Emendamento e ha affermato di voler nominare un giudice conservatore alla Corte Suprema (evocando, non a caso, la memoria di Antonin Scalia, particolarmente gradito alle frange della destra repubblicana). Anche sull’aborto il miliardario è venuto incontro alle istanze tradizionali del Grand Old Party: si è detto convintamente pro life (nonostante il suo passato abortista) ma ha comunque aggiunto che la questione debba essere lasciata alla legislazione dei singoli Stati. Hillary, dal canto suo, non si è detta contraria al II Emendamento ma ha sostenuto al contempo di voler regolamentare l’uso delle armi, aggiungendo di essere intenzionata a tutelare la salute delle donne in materia di aborto.
Un altro round si è poi giocato sull’immigrazione. Il miliardario ha affermato di voler ricostituire dei confini certi, anche attraverso la costruzione del suo famoso muro alla frontiera col Messico. Hillary ha replicato accusando il rivale di voler rimpatriare forzatamente undici milioni di clandestini, diffondendo paura e razzismo. Trump ha ribattuto riproponendo la sua ricetta law and order e tacciando l’avversaria (nonché lo stesso Obama) di aver messo in pericolo la sicurezza statunitense. Il magnate ha quindi affermato di voler fermare i flussi di droga (soprattutto eroina) provenienti dal Sud America. Per Hillary è necessario un percorso di cittadinanza per i clandestini. Per Trump soltanto gli immigrati regolari ne avrebbero diritto. L’ex segretario di Stato ha poi affermato di non appoggiare né amnistie né frontiere aperte. Ma Trump gli ha rinfacciato di voler abolire ogni confine.
La discussione è quindi proseguita scivolando spesso su attacchi personali e frecciate velenose. Messa in imbarazzo dal moderatore, Chris Wallace, su alcune rivelazioni diffuse da WikiLeaks, la candidata democratica ha sostenuto che Assange lavorerebbe per conto della Russia: quella stessa Russia che, ha proseguito, sosterrebbe oggi Donald Trump. Trump ha ribattuto di non conoscere Putin ma di avere intenzione, da presidente, di collaborare con lui soprattutto nello scontro con l’Isis. Più in generale, secondo il magnate, Putin si sarebbe rivelato molto più furbo di Hillary (soprattutto sulla questione siriana). Il candidato repubblicano ha quindi attaccato l’avversaria duramente, definendola il peggior segretario di Stato della Storia. L’ex first lady ha proseguito collegando il rivale a Putin (“è una marionetta”), tacciandolo inoltre di isolazionismo, nonché di essere inadatto al ruolo presidenziale.
Ma le frecciate non sono finite qui. Un nuovo giro di valzer al vetriolo si è avuto sulle accuse di molestie sessuali mosse a Trump in questi ultimi giorni da diverse donne. Il miliardario ha respinto le accuse al mittente, sostenendo siano state fomentate dalla stessa Clinton per colpire la sua campagna. Hillary ha negato a sua volta, tacciando il rivale di sessismo.
Poi è stata la volta della Fondazione Clinton, forse il momento di maggior difficoltà per l’ex first lady (anche perché il moderatore ha ventilato l’ipotesi di un conflitto di interessi ai tempi del suo incarico come segretario di Stato). Hillary la ha difesa per le sue attività filantropiche. Trump è partito all’attacco, definendola un’organizzazione “criminale”, ricordando come la fondazione abbia ricevuto finanziamenti da paesi non proprio in linea con la difesa dei diritti femminili (a partire dall’Arabia Saudita). Altri duelli poi sono stati combattuti sulla questione delle email e della dichiarazione dei redditi di Trump: niente di nuovo sotto il sole, visto che i due si scannano su questi temi ormai ripetutamente da mesi. Il magnate ha attaccato i Clinton per i trattati commerciali internazionali; Hillary ha replicato accusando il rivale di aver approfittato della delocalizzazone da imprenditore. Interessante infine come l’ex first lady abbia cercato di mettere Trump contro Ronald Reagan (mostro sacro del Partito Repubblicano) e come Trump, dal canto suo, abbia cercato di mettere contro la rivale, Bernie Sanders. Cosa che pone in evidenza come Hillary punti al voto moderato, Trump a quello arrabbiato.
Arrivati a questo terzo e ultimo dibattito televisivo è forse ora di un piccolo bilancio. Per quanto non sia certo facile. Considerando la situazione di svantaggio da cui il miliardario era partito, Trump è riuscito tutto sommato a riprendersi. Hillary è apparsa meno sicura del solito: piuttosto aggressiva, si è posta molto (forse troppo) sulla difensiva, glissando su alcune questioni. E’ riuscita, sì, a mantenere la posizione ma – nuovamente – il colpo del KO non è riuscita ad assestarlo. Il miliardario – al netto di un programma spesso aleatorio – è apparso più incisivo sulla Corte suprema e sulla critica ai trattati internazionali di libero scambio (a partire dal NAFTA). Più in generale, Trump ha nuovamente puntato molto sulla figura del candidato anti-politico: una figura di picconatore che sinora in queste elezioni (soprattutto nel corso delle primarie repubblicane) lo ha aiutato molto e con cui spera evidentemente di dare scalata alla Casa Bianca. L’ex first lady ha invece puntato sul moderatismo, sperando di conquistare quel centro che permise al marito, Bill, di arrivare alla presidenza nel 1992.
Nonostante si sia trattato di un dibattito in generale un po’ più civile del precedente, il clima di odio, rancore e sfiducia reciproca non accenna a diminuire. Tant’è che il miliardario non ha chiarito se accetterà il risultato elettorale dell’8 novembre. Sintomo evidente di un paese spaccato. In bilico fino all’Election Day.
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