America
CILE: Perché è fallito il referendum costituzionale?
Domenica 4 settembre i cileni hanno votato per approvare o rifiutare il testo della Nuova Costituzione, redatto dalla Convenzione Costituente, nata dal processo della rivoluzione popolare cilena del 2019. Il testo è stato respinto e il cambio di costituzione in Cile sembrerebbe assomigliare sempre più a un miraggio: perché?
Il Plebiscito Costituzionale del Cile del 4 settembre è l’ultima fase del processo iniziato nel 2020, quando si è svolto un altro Plebiscito Nazionale per decidere se sarebbe stata creata o meno una Convenzione Costituzionale per modificare l’attuale Costituzione Politica del Cile, approvata nel 1980, ai tempi della dittatura di Pinochet.
“Non sono 30 pesos, sono 30 anni!” è stato il motto della rivolta iniziata il 18 ottobre 20198 per protestare contro l’aumento di 30 pesos dei titoli di trasporto pubblico. Da lì è iniziata una lotta dal basso, portata avanti fino a quando “la dignità diventa un’abitudine”. Per questo sono nate le assemblee territoriali e molti giovani sono stati imprigionati. Si pensava che fosse possibile un altro Cile, un Cile senza militarizzazione nell’Araucanía, con una sanità pubblica e l’acqua potabile accessibili a tutti. E ora, dove stiamo andando?
Genesi
Lo Stato cileno e la sua Costituzione sono il risultato di interessi e accordi che affondano le loro radici nella dittatura militare, nata sotto l’egida degli Stati Uniti e guidata da Augusto Pinochet.
Quando, alla fine degli anni ’80, il suo governo dittatoriale iniziò a turbare le coscienze creando problemi persino agli affari e al libero scambio, la “transizione alla democrazia” intervenne a risolvere questo “malessere”. Purtroppo però, la transizione non è mai riuscita a coinvolgere anche i movimenti sociali che avevano combattuto contro la dittatura.
Forse per questa ragione il 18 ottobre 2019 l’aumento delle tariffe della metropolitana è stata “l’ultima goccia”: gli studenti hanno deciso di manifestare, la popolazione li ha seguiti.
Cosa chiedevano?
…Chiedevano cambiamenti. I cileni chiedevano pensioni eque, lavori dignitosi, sanità pubblica e istruzione gratuita. A essere messi in discussione non erano solo lo Stato cileno e la sua Costituzione, ma anche il suo modello economico e politico chiamato neoliberismo.
Quelle proteste hanno sorpreso la classe politica. “Questa situazione è rivelatrice della scissione e della distanza della politica dalla e con la società, del “disaccoppiamento” del sociale e del politico, i pilastri su cui è stata organizzata la transizione verso la democrazia, che escludeva e subordinava i movimenti politici che avevano combattuto contro la dittatura”, ha spiegato Mario Garcés, storico cileno, all’inizio dell’esplosione sociale.
“Questo è stato in qualche modo il risultato dell’adattamento del centrosinistra (Democratici cristiani, Socialisti e Partito per la Democrazia) alla Costituzione del 1980 (ereditata dalla dittatura) e al modello neoliberista. Il primo aspetto del processo di adeguamento alla Costituzione del 1980 ha portato alla “elitizzazione” o affermazione di una “oligarchia” della politica; il secondo adattamento, quello al modello neoliberista, ha portato alla “mercificazione” della vita sociale (e incidentalmente alla colonizzazione dello Stato da parte di grandi gruppi economici nazionali e transnazionali, con i conseguenti ripetuti episodi di corruzione). In questo contesto sia la destra, per ovvi motivi, sia il centrosinistra, entrambi assimilati alle logiche neoliberiste, hanno migliorato i propri redditi (soprattutto parlamentari e alti funzionari pubblici) e svuotato progressivamente la politica di contenuti ideologici”, ci raccontava ancora Mario all’epoca.
Dopo lo sfogo, l’accordo di pace: l’inizio della fine
Imma Guerras-Delgado, leader della delegazione delle Nazioni Unite che si è recata in Cile tra il 30 ottobre e il 22 novembre 2019, il giorno in cui ha presentato alla stampa accreditata presso le Nazioni Unite a Ginevra, in Svizzera, il Rapporto pubblicato dalla delegazione dell’Ufficio dell’Alto Commissario (OHCHR) sugli eventi accaduti durante l’epidemia è stata molto chiara: “L’Accordo per la pace sociale e la Nuova Costituzione è LA soluzione”.
Naturalmente, e lo ha specificato lei stessa, perché sia LA soluzione, deve essere “partecipativa e inclusiva”.
Tuttavia i movimenti sociali, che si erano già espressi in merito all’Accordo per la Pace Sociale e alla Nuova Costituzione, non lo hanno mai definito inclusivo o partecipativo, anzi hanno denunciato di essere stati esclusi dalla redazione del testo.
Juanita Aguilera, presidente della Commissione etica contro la tortura (CECT), ha parlato dell’accordo in questi termini: “Hanno fatto tutto questo alle spalle dei movimenti sociali. Nessuno dei movimenti sociali è stato incluso in queste decisioni. È un accordo firmato a tarda notte: hanno rilasciato il comunicato quando tutti i cittadini dormivano, mentre la repressione non si è fermata”.
A quel tempo il neopresidente, Gabriel Boric aveva firmato l’accordo.
Il trionfo del “Rifiuto” è, a rigor di termini, uno schiaffo di fronte a qualsiasi tentativo di cambiamento costituzionale e riporta alla mente la frase di un senatore socialista: pensare a un cambiamento costituzionale è come fumare oppio. Il risultato del plebiscito impedisce, nell’immediato, una soluzione politica alla crisi che sta attraversando il Cile. Ma chiudere la politica nel bel mezzo di una crisi grave come quella attuale è un’idea pericolosa dalle conseguenze imprevedibili.
Il processo costituzionale inaugurato con l’esplosione sociale del 18 ottobre 2019 è stato interrotto dal no dei cittadini. E oggi sorge la preoccupazione di sapere se quella veemente affermazione che ha dato fuoco alle città del paese tornerà a prendere il sopravvento nelle strade.
Un collega giornalista cileno, Luigi Cecchetto, con un po’ di amarezza ha riassunto così il fallimento del percorso iniziato nel 2019:
“Considero i seguenti avvenimenti ‘pietre miliari’: il focolaio del 18 ottobre 2019, le massicce manifestazioni del 25 ottobre a Santiago e in molte regioni. Le cose sfuggono di mano. Guai, emergenza: stipulato un accordo ai vertici, un accordo di casta, e il 15 novembre viene firmato l’Accordo di pace, che apre la strada a una nuova costituzione. Il Partito Comunista non partecipa, Boric firma, ma, fatto interessante, decide di farlo senza l’appoggio trasversale delle sue basi di consenso nel partito… A dicembre si dà forma al campo da gioco: tra i temi affrontati quorum, data di convocazione, plebiscito di entrata e di uscita, voto obbligatorio. E, particolare non da poco, non ci sarà l’Assemblea Costituente come opzione unica, ma bisognerà scegliere tra due alternative imposte dall’alto: o una Convenzione costituzionale mista (formata per metà da membri appositamente eletti e per metà da deputati in carica) oppure una Convenzione costituzionale (tutti eletti appositamente). Vince quest’ultima ipotesi, segno che i vecchi politici non sono più amati. I lavori della Convenzione iniziano dopo una tornata elettorale in cui si eleggono sia i membri dell’organo sia i membri dei governi locali. Appare la tanto chiacchierata lista del popolo, che in realtà contiene una gamma di personaggi che va da impostori a persone super oneste e impegnate. Il fatto di dover svolgere un lavoro di quelle dimensioni entro un tempo massimo stabilito e con i problemi che il governo Piñera gli ha palesemente causato è la sfida più grande. Indubbiamente, casi come Rojas Vade e diverse persone molto impegnate ma impreparate hanno causato danni non inferiori.”
“Insomma – prosegue Cecchetto – il continuo bombardamento del mondo politico istituzionale sommato a questi errori ha fatto sì che alla fine del periodo costituente il testo fosse molto lungo (come se si volesse poco meno che legiferare) e contenesse diverse contraddizioni interne. Troppo presto anche le forze politiche del governo e quelle favorevoli all’approvazione hanno cominciato a dire che non appena la nuova costituzione fosse stata approvata si sarebbe dovuto continuare a correggerla: un messaggio chiaro per dire che le cose non erano andate molto bene. .. La “destra” ha colto l’opportunità che le veniva offerta su un piatto d’argento e ha detto “No alla riforma”, uno slogan che da allora ha avuto un tale successo che l’approvazione è apparsa improbabile. Cioè si è detto che il testo più o meno era uscito… E in quei giorni Boric è stato il primo a dire ‘se vince il no…’ ‘qualunque sia il risultato…’. Con quel tipo di atteggiamento capirete che non c’era molta speranza… Ora, non so se fosse premeditato o meno…”
E ci racconta l’episodio avvenuto dopo la bocciatura nelle urne, mercoledì, quando Boric ha effettuato un rimpasto di governo e l’opposizione è insorta contro la rimozione del sottosegretario all’interno Manuel Monsalve, socialista, che inizialmente si è dimesso, ma poi è stato reintegrato da Boric nel suo incarico.
Oggi nel rimpasto di governo Boric aveva scelto un esponente del Partito Comunista come vicesegretario dell’interno. La destra a quel punto se n’è accorta, hanno dovuto fermare tutto, cancellare gli appuntamenti già fissati e Monsalve se n’è andato. Cosa significa? Che Boric, soprattutto d’ora in poi, andrà avanti sotto il ricatto della destra e di un certo centrosinistra… e se governi con la destra, è la destra che governa (come ha detto giustamente Radomiro Tomic)… Io non so cosa si dirà all’estero di questo risultato, forse passerà tutto sotto silenzio o forse si cercheranno spiegazioni convenienti…
Pubblicato sulla NewsLetter di PuntoCritico.info del 9 settembre 2022
ELENA RUSCA, 6 settembre 2022
Foto: ©Elena Rusca, Cile, Plaza Dignidad, 2020.
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