America
Brokered convention: il piano per fermare Trump
Tutti contro Donald Trump. Il miliardario continua a crescere, conquista Stati e delegati, mentre l’establishment repubblicano cade in una nube di sempre maggior confusione. Il fronte centrista annaspa. Colui che avrebbe dovuto essere il suo rappresentante, Marco Rubio, è al momento riuscito a vincere soltanto in Minnesota, accontentandosi altrove di piazzamenti imbarazzanti. Il governatore dell’Ohio, il moderato John Kasich, non ne vuole sapere di ritirarsi dalla corsa. Il tutto, mentre il governatore del New Jersey, Chris Christie, ha dato il suo endorsement proprio a Trump, contribuendo non poco a creare scompiglio in una compagine moderata ormai in preda al panico. I neoconservatori, dal canto loro, minacciano scissioni e qualche deputato ha già fatto sapere di essere pronto a passare tra le file democratiche, nel caso Trump conquistasse la nomintion repubblicana. In tutto questo, oggi Mitt Romney ha tenuto un durissimo discorso a Salt Lake City, attaccando frontalmente il miliardario e definendolo un imbroglione, “inadatto al ruolo di presidente”. La replica di Trump non si è fatta attendere: ha risposto a muso duro, dando a Romney platealmente del “fallito” e del “vigliacco”.
Alla fine l’ex governatore del Massachusetts non è sceso in campo. Ma che abbia tutta l’intenzione di dare battaglia per impedire al magnate di impossessari del partito, questo è chiaro. In un passaggio del suo discorso, Romney ha attaccato anche Hillary Clinton ma esclusivamente sul lato delle capacità e dell’onestà. Le critiche di natura ideologica e programmatica sono invece state rivolte solamente a Trump, tacciato di essere un finto repubblicano, senza alcuna consonanza verso le dottrine politiche della tradizione conservatrice (da Lincoln a Reagan). Ma il dato è anche pragmaticamente politico. E questo Romney lo sa bene. E la domanda è d’obbligo: come spera fattualmente di intervenire per fermare un Donald Trump ad oggi apparentemente inarrestabile? Tanto più dopo la mancata discesa in campo di oggi? Perché se è vero che una candidatura di Romney avrebbe comunque sollevato molti dubbi (essendo stato per ben due volte sconfitto nel 2008 e nel 2012), dall’altra parte è altrettanto indubbio che avrebbe almeno potuto dare al fronte centrista la possibilità di un ricompattamento. Invece non soltanto Romney non è sceso al momento nella mischia. Ma non ha ancora pubblicamente puntato su un candidato definito: nel suo discorso ha difatti invitato i repubblicani a votare o Rubio o Kasich o Cruz. Della serie: chiunque ma non Trump. Un invito che – preso in sè stesso – non garantisce certo chissà quale unità.
Eppure una strategia sarebbe in atto. Al di là dei contatti non confermati che Romney intratterrebbe in queste ore con lo Speaker della Camera Paul Ryan, Cnn riporta che l’ex governatore del Massachusetts avrebbe un piano ben chiaro. Un piano, che partirebbe da un assunto ineludibile: sul campo Trump non può più essere sconfitto. Rubio vivacchia a malapena e si avvia alla catastrofe nella sua Florida. Cruz ancora galleggia, è vero, ma risulta talmente schiacciato sulle posizioni della destra evangelica che una sua vittoria si fa sempre più improbabile. L’idea sarebbe allora quella di ostacolare la fiumana di Trump, frastagliare il più possibile i voti e impedire che il front runner acquisisca il quorum necessario di delegati per conquistare la nomination, tenendolo sotto la fatidica soglia dei 1.237. Il piano sarebbe quello di arrivare, cioè, a una brokered convention: una convention aperta, senza un nominato, che permetta allora al partito di intervenire per imporre un “candidato d’ufficio”: che potrebbe allora essere lo stesso Romney.
Uno degli ultimi esempi eclatanti di convention aperta risale al 1968 e riguarda il partito democratico. Anche a causa dell’assassinio di Bob Kennedy, nessuno tra i candidati quell’anno riuscì a conquistare il numero di delegati necessario per conseguire la nomination. Ragion per cui, dopo contrattazioni, alla fine il partito scelse come candidato alla Casa Bianca il vicepresidente Hubert Humphrey (che venne poi sconfitto da Richard Nixon alla general election). Ed è proprio questo il punto. Posto che sia possibile per i repubblicani arrivare oggi a una convention aperta, silurando Trump, siamo sicuri che una simile manovra ripaghererebbe l’elefantino nella corsa per la Casa Bianca? Non potrebbe essere vista una simile strategia alla stregua di una manovra di palazzo, portando l’elettorato verso posizioni ancor più anti-sistema di quelle già sposate oggi? Ma il problema è proprio questo. L’obiettivo dei repubblicani al momento non sembra più quello di arrivare allo Studio Ovale. Ma salvare sè stessi.
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