Africa

Total Energy in Uganda: là dove non è necessario difendere i diritti umani

31 Marzo 2022

Nel 2006 sono state scoperte grandi riserve petrolifere nel cuore del Parco Naturale Protetto delle Cascate Murchison dell’Uganda, nella regione dei Grandi Laghi africani. La Total, associata ad altre compagnie petrolifere inglesi e cinesi, si è posizionata per sviluppare un progetto di portata colossale: il progetto “Tilenga”. Tale progetto è stato validato senza il consenso degli abitanti del territorio, che attualmente subiscono l’esproprio e la conseguente violazione dei loro diritti. Nonostante le lamentele avanzate al riguardo, Total persegue la realizzazione di questo nuovo gasdotto a beneficio di un Occidente sempre più preso dalla caccia ad alternative al carburante russo.

Total perforerà più di 400 pozzi, estraendo circa 200.000 barili di petrolio al giorno. Inoltre, verrà costruito un gigantesco oleodotto lungo 1.445 km per trasportare il petrolio, che avrà un impatto sui territori sia dell’Uganda che della Tanzania. Più di 10 miliardi di dollari vengono investiti in questo enorme progetto petrolifero, in cui cinesi e inglesi lavorano fianco a fianco.

 

Il dovere di vigilanza delle società e delle loro succursali: una legge francese per frenare l’impunità delle transnazionali

Le associazioni “Les Amis de la Terre France” e “Survie” hanno denunciato il progetto Total, che non rispetta in alcun modo i diritti umani degli abitanti del territorio, né l’ambiente. Questa azione legale è la prima sulla base della nuova legge francese sull’obbligo di vigilanza delle società e delle loro succursali, che rende possibile questo tipo di denuncia al fine di ritenere le multinazionali legalmente responsabili degli impatti delle proprie attività nel mondo.

Questa legge è stata promulgata il 27 marzo 2017, dopo un vero e proprio percorso ad ostacoli contro le lobby che hanno fatto di tutto per impedire che vedesse la luce. Tuttavia, sono riusciti a ritardarne l’adozione e, soprattutto, a indebolirne il contenuto.

Diversi sono i limiti della legge e che trovano conferma oggi nella pratica attraverso l’azione legale contro Total.

“Con la legge sul dovere di vigilanza promulgata a marzo 2017, vogliamo che Total si faccia carico delle proprie responsabilità. Questo è il primo caso di utilizzo di tale legge sulle conseguenze delle attività di una filiale di un grande gruppo francese all’estero. Vogliamo garantire una giusta attuazione  di questa nuova legge per evitare che Total ponga rischi considerevoli e irreversibili per gli abitanti, la biodiversità, l’ambiente e il clima. Soprattutto, se i giudici confermano che le violazioni sono state provate, questa legge può permetterci di ordinare all’azienda di riparare i danni causati e di risarcire le popolazioni colpite. La legge sull’obbligo di vigilanza si applica alle attività proprie di Total, ma anche a quelle delle sue controllate e dei suoi subappaltatori, tutte in Francia e all’estero. Total è quindi responsabile delle attività della sua controllata Total Uganda ma anche delle attività dei suoi subappaltatori” dichiarano le due associazioni.

 

Il progetto “Tilenga”

Il progetto “Tilenga” operato da Total prevede lo sviluppo di 419 pozzi perforati su 34 piattaforme petrolifere, principalmente all’interno dell’area naturale protetta delle Cascate Murchison.

Inoltre, è prevista la costruzione di una zona industriale, comprensiva di un impianto di lavorazione (“CPF”) ai margini del parco. All’interno di tutto ciò, il governo ugandese costruirà una raffineria e un aeroporto.

Dal progetto “Tilenga” nascerebbe il mega oleodotto “EACOP” (East Africa Crude Oil Pipeline), che sarà realizzato da un consorzio formato da due multinazionali: la Total Energy francese e la cinese CNOOC, assieme ai governi dell’Uganda e della Tanzania.

 

Verrebbero inoltre realizzate altre infrastrutture associate:

  • un sistema di pompaggio dell’acqua dal Lago Albert per il fabbisogno dei pozzi petroliferi;
  • una rete combinata di gasdotti di 180 km, anche sotto il Nilo, per il trasporto di petrolio e gas o acqua prodotti;
  • siti di stoccaggio e trattamento dei rifiuti petroliferi;
  • Nuovi percorsi che facilitino lo sviluppo di questa industria petrolifera.

 

Il costo umano di “Tilenga”

Diverse decine di migliaia di persone sono state espropriate e hanno già perso o perderanno la casa, i terreni agricoli, i raccolti. In cambio, i residenti sono costretti ad accettare risarcimenti palesemente insufficienti, spesso sotto pressione e intimidazioni.

Nonostante i ripetuti avvertimenti di associazioni ugandesi, tanzane e internazionali, Total continua con i suoi megaprogetti.

Da un lato si tratta del progetto Tilenga, che prevede la perforazione e lo sfruttamento di oltre 400 pozzi, di cui almeno 132 in un parco naturale protetto dell’Uganda, e, dall’altro, la realizzazione dell’EACOP, il più lungo oleodotto nel mondo, che attraverserà l’Uganda e la Tanzania.

Il dispiegamento di questi progetti petroliferi implica massicci spostamenti di popolazione, i cui diritti vengono violati anche prima della prima trivellazione. L’accaparramento della loro terra ha colpito la vita di 100.000 persone. I subappaltatori di Total hanno il compito di spostare le famiglie per far posto ai pozzi e alle infrastrutture del progetto. Decine di migliaia di persone vengono espropriate della loro terra senza alcun compenso. Da più di due anni sono senza mezzi di sussistenza, il che si traduce in situazioni di fame e di abbandono scolastico.

Molte persone riferiscono di essere state spinte e intimidite a firmare moduli di trasferimento per la loro terra e affermano di non sapere quando o quanto saranno risarcite per l’acquisto di nuova terra e colture.

Sono aumentate anche le intimidazioni e le pressioni nei confronti di coloro che osano denunciare queste violazioni, così come gli impatti negativi dei progetti, come dimostrano le testimonianze dei leader della comunità Fred Mwesigwa e Jelousy Mugisha. Erano venuti in Francia lo scorso dicembre per denunciare la situazione sul campo: al loro ritorno in Uganda, uno è stato arrestato e l’altro aggredito a casa sua. Da allora le minacce sono continuate e hanno dovuto lasciare più volte il loro villaggio per essere al sicuro.

Nonostante gli allarmi ai massimi livelli, anche da parte di 4 relatori speciali delle Nazioni Unite, la pressione continua. Il 23 agosto, un gruppo di una decina di persone colpite è stato arrestato durante un incontro sul progetto EACOP. Il 15 e 16 settembre tre giornalisti e sei difensori ambientali sono stati arrestati a Hoima quando sono venuti a denunciare la distruzione di una delle più grandi riserve forestali del Paese, nonché i rischi posti dallo sfruttamento del petrolio nell’Uganda occidentale, compresi i progetti in corso per Total.

Nabiruma Dian, per AFIEGO, e Atuhura Maxwell, per il Tasha Research Institute, sono giunti alla 49a sessione del Consiglio per i diritti umani per denunciare questa situazione presso la sede delle Nazioni Unite a Ginevra.

 

Un mondo occidentale alla ricerca psicotica di carburante

La crisi politica e diplomatica scoppiata nel 2022 tra la Russia e i paesi membri della NATO potrebbe mettere in pericolo la stabilità energetica dell’Unione Europea, poiché le esportazioni di gas russe rappresentano quasi il 50% del consumo totale europeo di questo combustibile. Gran parte del gas viene esportato attraverso il gasdotto Nord Stream. Norvegia e Algeria sono il secondo e il terzo fornitore più grande del continente, con una quota di mercato rispettivamente del 20,5% e dell’11,6%.

In questa affannosa ricerca di fornitori alternativi ai russi, sono le risorse africane a essere messe al centro del mirino degli europei.

Anzi, le stesse risorse sono forse al centro del più grande paradosso storico del continente.

L’Africa possiede una ricchezza ineguagliabile: il 12% della produzione mondiale di petrolio e il 9,5% delle riserve, rispettivamente il 6% e l’8% del gas naturale, il 6% delle riserve di carbone e il suo potenziale idroelettrico è di milioni di gigawatt all’ora, e nonostante ciò, nel continente, 600 milioni di persone mancano ancora d’elettricità. Questo, nell’Africa subsahariana, equivale al 57% della popolazione.

E questa situazione non è pronta a trovare una soluzione. Praticamente tutti i megaprogetti legati all’estrazione di carburanti, oleodotti o gasdotti, sono realizzati per rifornire l’Occidente. L’Africa è sempre stata la mucca da mungere del nord del mondo, e con questo nuovo conflitto tra Ucraina e Russia le cose non si risolveranno. Peggio ancora, oltre al danno di sfruttare le risorse, la beffa di non accogliere gli africani in terra “occidentale”: il “razzismo migratorio” sta provocando il fatto che ancora più migranti africani e arabi vengano respinti al confine per fare spazio ai “poveri” migranti ucraini.

Naturalmente, l’Occidente non ha alcuna responsabilità per il flusso migratorio che proviene dall’Africa. Non hanno depredato questo continente per secoli. Non c’è bisogno di aprire le porte a chi vorrebbe magari beneficiare un po’ della propria ricchezza.

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