Africa

Perché non condivido le immagini dei bambini morti in mare

29 Agosto 2015

Un bambino morto in mare, un corpicino esanime in balìa delle onde. Un’immagine durissima che sta diventando ‘virale’. In molti sui social continuano a condividerla con il nobile scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica, raccontando la nostra colpevolezza di fronte a una tragedia di dimensioni gigantesche.

In quella foto, che provoca un vero e proprio shock, viene sintetizzato un tragico destino che da mesi tocca a molti altri bambini, in fuga da posti che nemmeno riusciamo a immaginare cosa siano. Perché nemmeno possiamo comprendere cosa sia accaduto di recente in Paesi come la Repubblica Centrafricana, il Sud Sudan, il Mali, l’Eritrea, la Somalia. E in fondo nemmeno riusciamo a immaginare quel che avviene in Siria, in Libia e in Afghanistan, che rispetto ai Paesi africani hanno una maggiore copertura giornalistica (con esiti non proprio dirompenti sull’opinione pubblica). Non è buonismo, ma realtà affermare che sono posti da cui la fuga, anche con l’annesso rischio di morte che comporta, è l’unica soluzione.

Vedendo quell’immagine terribile ci illudiamo che possa essere un “fatto eccezionale”. Ma non è così. In quella foto c’è una storia molto più comune di quanto si possa pensare. Solo che centinaia di bimbi sono invisibili: annegano senza nemmeno uno scatto che possa certificarli, diventando degli esseri umani che non esistono e di cui nessuno conoscerà il destino. Probabilmente neppure le famiglie sapranno mai quale sorte hanno avuto, se hanno raggiunto l’Europa oppure sono finiti in mare, in quel cimitero senza croci del Mediterraneo.

L’esperienza ha ormai insegnato che l’impatto emotivo di certe immagini non sortisce effetti concreti: è utile alla convocazione di ‘vertici di emergenza’, con le dichiarazioni commosse che arrivano da ogni angolo del pianeta; è altrettanto utile a creare sgomenti tra i cittadini comuni. Senza campare alcunché. È stato così il 18 aprile 2015 con la morte di oltre 800 persone nel Canale di Sicilia, probabilmente sarà così di fronte al camion di migranti abbandonati in Austria e ai bambini trascinati dalle onde, privi di vita.

Quindi non voglio condividere le foto dell’ennesima tragedia né su Facebook né su Twitter e né tantomeno voglio pubblicarla in questo post. Prima di tutto perché è necessario cominciare a ridare una dignità alla morte, ritrovando un rispetto oggi perduto, che spesso manca da vivi soprattutto per quelle persone che scappano dagli orrori dei loro Paesi natii. Insomma, bisogna ricordarsi di loro quando sono in vita, non quando giacciono esanimi sulle onde. Ma soprattutto perché l’ostentazione della morte finisce per non favorire un processo di sensibilizzazione, bensì rischia di alimentare un effetto assuefazione dell’opinione pubblica. Oggi restiamo scioccati vedendo un bambino annegato, domani alla riproposizione di una stessa immagine l’impatto sarà minore. Così la sua reiterazione porterebbe alla peggiore delle conclusioni: la sostanziale indifferenza. Come quella quotidiana, quando ascoltiamo le notizie che dicono “a largo di qualche costa si è rovesciato un barcone con un numero imprecisato di persone”. E probabilmente tra di loro ci sono bambini che resteranno ignoti.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.