Africa
NON CHIAMATELI EROI ANCHE SE LO SONO: ECCO I VOLONTARI CHE COMBATTONO L’ EBOLA
Ieri la BBC ha mostrato un ospedale di 92 letti per il trattamento dell’ebola che Save the Children sta aprendo a sud della capitale della Sierra Leone, Freetown. Nel video si vede un uomo a torso nudo, robusto, ma scosso dalla malattia. Cammina su una strada sotto la pioggia, barcollando. Cerca di andarsene dall’ ospedale e di tornare al suo villaggio. A pochi metri di distanza due operatori umanitari, senza equipaggiamento protettivo, tentano di convincerlo a fermarsi, a rientrare nel centro di cura. Cercano di convincere quell’uomo, una “walking time bomb” come lo definisce la BBC, a non tornare nella sua comunita’ dove, “esplodendo”, potrebbe infettare altre persone e morire.
Uno dei due operatori e’ un caro amico. Trentacinque anni, master negli Stati Uniti, PhD a Londra, una moglie, una figlia, un lavoro difficilissimo come responsabile emergenze per Save the Children. Francesco potrebbe essere felicemente a casa con la sua famiglia e invece e’ in Sierra Leone, a tre metri da un uomo infetto di ebola, con solo una radiolina in mano, la sua voce e le sue mani per convincere un uomo a non lasciarsi morire. Francesco non e’ uno sprovveduto, non e’ un avventuriero, non e’ un fervente credente. E’ un tecnico preparatissimo che, come molti altri volontari, ha scelto di essere, in questo momento, dove c’e’ bisogno estremo.
Gli operatori umanitari che giornalmente lottano contro l’ebola in Sierra Leone, Liberia e Guinea sono migliaia: medici, infermieri, laboratoristi, agenti comunitari, esperti di comunicazione, psicologi, igienisti responsabili del seppellimento dei morti. La stragrande maggioranza sono persone locali, mentre il personale internazionale rimane limitato in numero. Dall’inizio dell’ epidemia in Africa Occidentale, 546 operatori sono rimasti infetti e 310 di essi sono morti: una mortalita’ di quasi il 60%.
La protezione degli operatori sanitari e’ di primaria importanza per fermare l’epidemia. Prevenire e’ meglio che curare, e nel caso di ebola piu’ che mai. L’ OMS ha distribuito piu’ di un milione di kit di prevenzione personale e gli operatori sono stati e continuano ad essere addestrati su come salvaguardarsi da infezioni durante il trattamento di pazienti e durante la sepoltura dei cadaveri. I protocolli sono rigidi e devono essere applicati alla perfezione. Un errore, anche minimo, puo’ costare l’infezione, come accaduto a Teresa Romero, l’infermiera spagnola che fu il primo caso in Europa alcune settimane fa. Per gli operatori sanitari potrebbe esserci fra non molto un’ulteriore possibilita’ di prevenzione. Proprio oggi le autorita’ svizzere hanno dato l’ approvazione per la sperimentazione di un vaccino anti-ebola su 115 individui sani che dalla settimana prossima riceveranno il vaccino. Alcuni di essi partiranno presto per l’ Africa Occidentale. Lo studio, coordinato dall’ Universita’ di Ginevra e supportato dall’ OMS, si aggiunge allo studio su un altro vaccino, coordinato dall’ Universita’ di Losanna e cominciato alla fine di ottobre. I risultati preliminari dovrebbero essere disponibili in dicembre; in caso di risultati favorevoli, studi successivi su larga scala potrebbero essere lanciati in Africa Occidentale gia’ nel gennaio 2015.
La protezione degli operatori sanitari va oltre kit e vaccini e deve comprendere la lotta allo stigma e alla discriminazione. La settimana scorsa la Croce Rossa Internazionale ha emesso un comunicato stampa molto forte in cui si afferma che un’epidemia di paura sta mettendo a rischio gli sforzi umanitari e sta favorendo la trasmissione della malattia. In toni simili, Emergency ha affermato che “il virus e’ pericoloso, ma la diffusione del panico, della disinformazione e del razzismo rischiano di essere ancora piu’ pericolosi.” Gli operatori umanitari che tornano dai paesi con l’ebola vengono stigmatizzati, messi in quarantena e considerati altamente pericolosi, nonostante la loro buona salute. In realta’, controlli sanitari rigorosi sui volontari rientrati in patria sono raccomandati rispetto all’isolamento coatto di individui asintomatici. Il rischio legato alla disinformazione in merito e’ che il numero di volontari in partenza per l’ Africa Occidentale possa diminuire drasticamente, come ha fatto notare in toni altrettanto forti, l’organizzazione Medici Senza Frontiere.
Per vincere ebola gli operatori umanitari sono l’arma piu’ importante. Vanno apprezzati, difesi dalla stigmatizzazione e sostenuti. Perche’ stanno facendo un lavoro difficilissimo e pericolosissimo. Perche’ stanno salvando vite umane e proteggendo il mondo intero dal rischio ebola. Piu’ di tutto, perche’ dimostrano di avere un cuore e un coraggio piu’ grandi della norma: provateci voi a camminare a tre metri da un malato di ebola.
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