Africa
No, non dite afro-italiani
Negli Stati Uniti in molte occasioni il colore della pelle e i tratti somatici costituiscono una discriminante, proprio nel senso logico del termine, cioè una caratteristica che determina differenza in aspetti sociali e personali. Un esempio sono le elezioni americane, queste del 2016, le presidenziali Clinton vs Trump. Qualsiasi analisi approfondita andrete a cercare troverete dati su come votano i neri, chi preferiscono i latini, sei i californiani bianchi sono o meno convinti dalla Clinton e così via.
Se da una parte è legittimo e interessante sapere come vota la popolazione nera rispetto a quella ispanica dall’altra una società divisa per categorie genetiche appare come non ancora slegata da razzismo e discriminazione.
Dire African-american rimanda a una sorta di provenienza dall’esterno: si è statunitensi, certo, ma si “viene” dall’Africa. Si può pensare che sia corretto, quei tratti somatici vengono effettivamente dall’Africa così come anche eventuali strascichi culturali, ma no, non lo è. Innanzitutto i bianchi negli Stati Uniti, pur “provenendo” dall’Europa non si dicono European-american, ma semplicemente “whites”, cioè bianchi. Questa differenza di nomenclatura comunica una (inesistente) completa americanità dei bianchi e una non completa americanità di chiunque non sia bianco. Negli Stati Uniti venire da una famiglia italiana o greca corrisponde all’essere italo-american o greek-american. Vale la stessa regola per chi proviene da un paese del sud o del centro America dove si parla lo spagnolo; si è “ispanici”.
Queste distinzioni non hanno ragione di esistere, negli Stati Uniti i bianchi arrivano dall’est Europa, dall’Irlanda, dalla Scozia e così via. Tutti, tranne i nativi americani, hanno una provenienza extra-statunitense. Categorie come ispanici, latini, bianchi o afroamericani sono così generiche e generalizzanti che già ci si è chiesti se ce ne sia effettivo bisogno. Un italiano bianchissimo e con gli occhi azzurri, negli Stati Uniti non verrebbe mai additato come latino, pur provenendo da un paese latino – è una questione di colore. Queste categorie, e qui sta il punto, rischiano di essere una trappola pericolosa perché permettono un’applicazione del pregiudizio razziale costante.
Utilizzare nel linguaggio comune queste categorie, parlarne come se esistessero davvero delle semplificazioni del genere, può portare a un ulteriore pessimo risultato: quello di rendere socialmente pertinenti il colore della pelle e i tratti somatici.
Nonostante alcune eccezioni, in Italia questo tendenzialmente non avviene. Mario Balotelli non viene chiamato afroitaliano, è italiano, punto. Io, nonostante i miei capelli e i miei occhi neri, non sono un latino o un ispanico-italiano. Una persona bionda e con gli occhi azzurri, anche se pallida tanto da sembrare trasparente, non è una persona che si troverà a definirsi o essere definita “bianca”.
È molto probabile, che io abbia del “sangue nordafricano” viste e considerate le innumerevoli invasioni subite dall’isola in cui sono nato, la Sardegna, provenienti dalle coste spagnole e nord-africane. Ma semplicemente non fa differenza, non è un elemento pertinente nella mia vita sociale. E vorrei che rimanesse tale.
Certo, bisogna comunque potersi riferire al colore della pelle di qualcuno, come anche alla cultura da cui proviene. In questo senso una famiglia cinese residente in Italia, ma culturalmente legata alla Cina, ha tutte le ragioni di dirsi cinese. A seconda del caso quindi gli appartenenti alla famiglia diranno con buone ragioni di essere cinesi, o di essere italiani. Saranno entrambe le cose, ma non un 50 e 50 che li renderebbe degli italiani monchi, privi di una “piena italianità”.
È da scongiurare invece che chiunque abbia gli occhi a mandorla e passeggi per le strade di Bologna, Roma o Milano venga additato come un italoasiatico. Non solo è una generalizzazione inutile, ma è probabilmente una porta spalancata verso il razzismo visto che quella persona, pur avendo quei tratti, potrebbe tranquillamente sentirsi esclusivamente italiana, slegata culturalmente da dove quella sua caratteristica somatica si è evoluta. Dando dell’italoasiatico allo sconosciuto con gli occhi a mandorla, così come dell’afroitaliano a chi è nero, stiamo categorizzando individui e intere fette di popolazione senza ragioni culturali, ma solo genetiche. Il che, va da sé, è un abominio.
Bisogna anche ricordare che la pelle scura non viene solamente dall’Africa, e questo è importante. Il colore scuro della nostra pelle dipende fondamentalmente da quanto i nostri antenati sono stati esposti al sole, più erano soleggiate le zone in cui hanno vissuto, più è scura la nostra pelle. Una banale questione di latitudine.
I nativi australiani, come è evidente nella mappa, hanno una pelle scura con tonalità di colore molto simili a quelle dei nativi africani. Gli africani del nord, molto spesso, sono chiari proprio come i cosiddetti “mediterranei” – io, per esempio, sono più scuro di molti egiziani, algerini e così via. Questo per dire che un elemento differenziale come il colore della pelle, non funziona se non sotto forma di – fallibile – pregiudizio. Una persona nata in Italia da famiglia tunisina, che, immaginiamo, ha carnagione olivastra e occhi castani, potrebbe dirsi afroitaliana? Probabilmente no, e così l’afroitalianità sarà una categoria che invece di stare per una supposta provenienza africana starà per “persona in italia con pelle nera”. Ma una parola per descrivere chi ha la pelle nera c’è già, basta definire quella persona, appunto, come nera.
L’Europa, a differenza degli Stati Uniti, ha millenni di storia ancora visibile, ancora presente, mescolata e mai asfaltata da un’unica conquista straniera che ha imposto il proprio “centrismo” culturale. Sarebbe ideale mantenere questa consapevolezza di essere frutto di mille conquiste, scontri e incontri di popoli, anche perché, non va mai dimenticato, le razze e le etnie non esistono. Ciò che invece esiste è la specie umana, una sola, che è nata nella zona che oggi si divide tra l’Iraq e la Siria, e ha vagato per il pianeta adattandosi a temperatura e clima. Facendolo il colore della pelle si è evoluto, ma mai si sono evolute differenze interne alla specie umana degne di poter essere definite come pertinenti in società.
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