Africa
La libertà di informazione passa per la Somalia e al-Shabaab
La Somalia è uno dei Paesi più difficili, instabili da decenni e insicuro per tutti. La minaccia non risparmia i giornalisti, anzi tutt’altro. Il Committee to Protect Journalists lo ha classificato come il terzo Pease più pericoloso per i cronisti. E del resto l’Italia conserva il terribile ricordo dell’omicidio di Ilaria Alpi, la cui morte resta tuttora un mistero nonostante gli impegni assunti dal governo italiano e dalle più alte cariche istituzionali. I numeri spiegano in maniera evidente lo scenario: in Somalia, dal 1992 a oggi sono stati uccisi 56 reporter. Più di due all’anno.
In uno scenario del genere è arrivato l’ennesimo affronto alla stampa indipendente, costretta a compiere una scelta: o con il governo o con l’organizzazione terrorista al-Shabaab,affiliata ad Al Qaeda e responsabile del recente massacro nel campus universitario di Garissa in Kenya. L’esecutivo somalo ha infatti vietato di usare il nome al-Shabaab, che tradotto significa Gioventù e veicola perciò un messaggio positivo. Trasmette un senso di forza e di vitalità. Quindi, al posto di questa definizione bisogna usare – almeno secondo il diktat governativo – la sigla Ugus, sintesi di “gruppo che massacra il popolo somalo”.
Per tutta risposta al-Shabaab, attraverso un suo portavoce citato dai media arabi, ha minacciato: “Chiunque ci chiami con nomi non appropriati, ne risponderà”. Una promessa di vendetta che non è proprio tranquillizzante, visto che arriva da miliziani capaci di uccidere giovani innocenti che frequentano l’Università. I giornalisti si trovano così compressi tra il pericolo di censura e di arresto da parte del “potere ufficiale”, e il rischio di affrontare azioni di ritorsioni da parte del gruppo terroristico.
La replica è arrivata da Hassan Ali Geesey, presidente della Somali Independent Media Houses Association (Simha): “Noi siamo giornalisti indipendenti. Dobbiamo essere neutrali, non possiamo lavorare come media di Stato. Anche i media internazionali li chiama al-Shabaab. Se il governo non torna indietro da questa decisione, molti giornalisti smetteranno di lavorare”.
La questione, in apparenza tanto lontana, chiama in causa un problema molto vicino: l’indipendenza dell’informazione nell’era del “nemico terrorista”. La domanda è: come comportarsi di fronte a una minaccia gigantesca? Assecondare gli appetiti di censura filo-governativi, e definire in altro modo un’organizzazione terroristica, oppure conservare quello spazio di autonomia, sfidando il potere? Delle due ipotesi, manco a dirlo, la seconda opzione mi sembra la più opportuna. Anche se, temo, questo potrebbe significare che dalla Somalia arriveranno sempre meno notizie indipendenti. E non è un evento positivo per un Paese che è una polveriera, per quanto dimenticata.
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